Senza veli di Giorgio Anselmi

Mi pare bene pubblicare il seguente articolo di Giorgio Anselmi, pubblicato da l’Unità europea, organo del Movimento Federalista di Verona, di cui Anselmi è direttore.

Secondo il filosofo John Rawls, per fondare una società giusta occorre che gli uomini ne stabiliscano i principi dietro un provvidenziale velo d’ignoranza. Solo così diventeranno capaci di agire come esseri razionali. Liberi da interessi, presenti e futuri. Due recenti fallimenti dimostrano la profondità dell’assunto rawlsiano. La mancata approvazione della legge elettorale italiana ed i finora vani tentatitivi di dotare l’Unione europea di un bilancio per i prossimi anni.
In Italia andremo di nuovo a votare con la Legge Calderoli. Una porcata, secondo lo stesso proponente. Ribattezzata dunque il “Porcellum” dal politologo Giovanni Sartori. Approvata in fretta e furia a fine 2005 dalla maggioranza di centro-destra. E concepita come una pistola alla tempia degli avversari politici, i probabili vincitori. Previsione puntualmente avveratasi. Dopo due anni il governo Prodi fu costretto a gettare la spugna e la parola tornò agli elettori. Con lo stesso sistema elettorale lo schieramento berlusconiano ottenne la maggioranza in entrambe le Camere, ma fu costretto ad imbarcare oves et boves. Prima per assicurarsi la vittoria e poi per conservare la maggioranza. Roberto D’Alimonte ha dimostrato, dati alla mano, che non solo Prodi, ma anche lo stesso Berlusconi avrebbe avuto una maggioranza più solida e coesa col vecchio “Mattarellum”. Ci guarderemo bene dal dire che l’ultimo governo del Cavaliere è caduto per questo motivo. Ci basta concludere che, spesso, chi di spada ferisce di spada perisce.
Porcata o “Porcellum” che sia, in questa legislatura tutti i partiti sembravano decisi a cambiare la legge elettorale. Nonostante gli accorati appelli del Presidente Napolitano, non se n’è fatto nulla. E’ mancato di nuovo il velo d’ignoranza. Tutti i protagonisti erano attenti ai loro interessi immediati. I probabili vincitori e i probabili perdenti. Poteva nascere una legge elettorale giusta? Giusta per gli uni e giusta per gli altri? Tenendo conto che i vincitori potranno essere un giorno sconfitti e viceversa? Non poteva nascere e non è nata. Amen.
Ancor più istruttive per noi federalisti le lunghe e finora infruttuose trattative sul quadro finanziario dell’Unione europea per i prossimi anni. Siamo in una crisi epocale. I disoccupati sono ormai un esercito. In alcuni paesi, a cominciare dalla Grecia,  milioni di persone lottano per la sopravvivenza. Dalla società dei due terzi stiamo passando alla proletarizzazione del ceto medio. In questo quadro sarebbe necessario almeno raddoppiare il bilancio dell’Unione, per mettere in cantiere un grande piano di investimenti. Come sostengono i federalisti e ormai anche tutte le persone di buon senso. Si potrebbe farlo a costi irrisori. Addirittura a tassi reali negativi.
Su cosa verte invece il dibattito? Sarebbe già una consolazione se riguardasse solo l’aumento o la diminuzione del bilancio in rapporto al PIL. Magra consolazione, perché ci si accapiglia ormai sullo 0,01 %. Ma non basta. Le discussioni più roventi sono sui singoli capitoli di spesa. Ognuno vuol tirare la coperta dove gli fa più comodo: agricoltura, pesca, ambiente, fondi di coesione, ecc. E naturalmente sorgono le più strane e variabili alleanze per strappare coi denti qualche risultato e strombazzarlo poi davanti ai propri elettori. Direbbe Borges: 27 calvi che si disputano un pettine.
In questo caso è l’assetto confederale a impedire il formarsi del velo d’ignoranza. Il bilancio va approvato all’unanimità ed è fondato in gran parte sui contributi nazionali. Ogni Stato è quindi in grado di conoscere sempre la differenza tra entrate ed uscite. Per di più gode del diritto di veto con cui bloccare le decisioni che gli risultano sgradite. Non vorremmo essere nei panni del povero Van Rompuy, costretto a barcamenarsi tra 27 litigiosi governi nazionali. L’esito è già scontato. Più che un bilancio, un bilancino.
Dalle più grandi complessità, disse una volta Winston Churchill, nascono talvolta le più grandi semplicità. Qui non servono correttivi. Occorre un taglio netto. Solo le istituzioni federali possono operare con quel velo d’ignoranza che antepone l’interesse dell’Europa e dei suoi cittadini ai meschini calcoli nazionali. Per convincersene proponiamo un esperimento mentale che forse non sarebbe dispiaciuto a Rawls. Supponiamo che i capi di Stato e di governo, entrando in una riunione del Consiglio europeo, come d’incanto dimenticassero di quale Stato sono il leader. La Merkel  se il presidente francese o il primo ministro della Grecia, Hollande se il presidente del consiglio italiano o il capo del governo dell’Estonia e così via. E ipotizziamo poi che in ogni riunione si dovesse votare e prendere delle decisioni, a maggioranza assoluta o a maggioranza qualificata  Lasciamo immaginare al lettore se le conclusioni di tanti inconcludenti vertici di questi ultimi anni sarebbero state le stesse.

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Pesi mosca

Nella confusione delle lingue che caratterizza la disordinata campagna elettorale ci sono molti elementi di riflessione: il tentativo dei partiti di apparire diversi, rinnovati, giovani, anche usando maschere e simulazioni; quello di far dimenticare, ad un elettorato già smemorato di suo, le proprie precedenti gravi responsabilità, il vellicare, in un periodo di grave crisi, gli interessi immediati degli elettori con promesse di eliminazione d’imposte, di grandi interventi sociali (con quali soldi?) e con l’illusione di trattenere le tasse in singoli territori (da Roma ladrona a rubiamoci i “nostri” soldi). Fino all’abolizione di partiti, sindacati e di pezzi di Stato. Il tutto destinato a quella massa di elettori che, esacerbati, delusi, spaventati, convinti della non influenza del voto, pensano di non votare. La crisi della politica denuncia un malessere più grave e generale, una caduta di speranza, ma nei partiti l’esigenza di coprire le proprie responsabilità, di far superare il giudizio sul mal fatto, sulle colpe e sulle corruzioni,prevale su tutto.
Ogni proposta viene agitata e presentata come novità, come nuovo obiettivo, come progetto diverso e nuova speranza.
Un esempio di questa linea è l’accordo tra Lega Nord e Pdl sulla Lombardia: la cessione al governo della Lega di tutto il Nord per accontentare a Roma Berlusconi (da un anno vituperato) e la promessa di trattenere le risorse fiscali come “voto di scambio” con gli elettori più creduloni ed ancora desiderosi di illusioni.
Questa ipotesi politica merita però una riflessione, che parte da un’analisi della strategia della Lega post bossiana, ed è ricollegabile al alcune tesi di Miglio, quella delle tre Italie, nord, centro e sud. La lega però, al di là delle affermazioni trionfalistiche, è in grave crisi di credibilità della sua classe dirigente e dei suoi progetti.
Dopo avere governato assai a lungo con Berlusconi, che non ha mai molto amato, è caduta clamorosamente sul fronte del malgoverno, dei soldi, degli abusi, dei tesoretti in oro e diamanti, del familismo, in sostanza ha dimostrato di non essere meno “ladrona” di altri, come invece affermava nei suoi slogan. Inoltre nella lunga partecipazione al governo non ha prodotto per il Nord particolari vantaggi, se non, forse, nel rinvio delle multe per le quote latte, ma niente di più. A parte l’invenzione del calderoliano “porcellum” essa è stata pienamente partecipe, e spesso determinante, assieme al Pdl, delle responsabilità di governo dell’ultimo decennio.
Ora, abbandonati i vecchi miti, le ampolle, l’acqua del Po, i parlamenti padani in ville affittate, cerca di ritrovare il suo popolo deluso con un nuovo messaggio, una nuova illusione,che è la macro regione, con gli uffici a Milano anziché a Monza, con il predominio lombardo-varesotto, su Piemonte e Veneto, in un’ipotesi secessionista di tipo nuovo, basata sui poteri regionali e sulla omogeneità partitica.
Da soli non andrebbero lontano, ma con Berlusconi il discorso diventa più fattibile e il Pdl ha già ceduto, nelle alleanze tutta la polpa del Nord, anche con la resa di Formigoni, ormai bisognoso di copertura e difesa.
Non credo che l’operazione possa avere successo; anche perché i tempi sono cambiati, la Lega dopo gli scandali nordici e romani è più debole e il Pdl è frantumato, nonostante gli sforzi di Berlusconi, grande venditore di promesse e mago della comunicazione e della pubblicità. Inoltre sia Albertini che Ambrosoli non sono candidati da poco.
Resta il pericolo di un inquinamento morale, di illusioni dannose al Paese, che è bisognoso di forza unitaria: se contiamo poco come Paese unito, immaginiamoci come Paese diviso, nelle regole, nell’economia, nei territori, nel contesto internazionale. Inoltre, dividendo ipoteticamente per tre il debito pubblico, non lo si riduce, mentre il problema del governo italiano per la crescita, sta in uno sforzo unitario e collettivo, anche se ciò non significa escludere un deciso impegno per le autonomie responsabili e per la fine dell’assistenzialismo, in e interregionale.
La seduzione nordista, anche in versione maroniana, è fallace e va contro gli interessi del Paese e del Nord per primo. Così come la crisi economica colpisce di più il Nord industriale con la disoccupazione, la cassa integrazione, la chiusura di aziende.
Questo Paese, va profondamente riformato, con grande decisione, per farlo tornare ad essere un Paese forte, come gli altri grandi d’Europa, Inghilterra, Francia, Germania e, tutti insieme, con l’Europa, nel mondo. Per fare questo, nel grande campionato globale, dove lottano i pesi massimi, non si può essere dei pesi mosca.

 

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Ringraziamenti

Ringrazio per i vari commenti in dissenso sul mio post, dopo il discorso di fine anno del presidente Napolitano.
Mi permetto, su quella base, qualche breve nota che mi nasce spontanea.
A Maffei faccio osservare che i programmi di Governo non riguardano l’azione del Presidente della Repubblica, che quindi non può essere tardiva. Riguardano il governo e il Parlamento che da destra a sinistra ha votato tutti i provvedimenti. A Capodanno il presidente rivolge gli auguri agli italiani, tracciando una sintesi dei problemi del paese. Certo, lo fa davanti un popolo che, secondo Maffei, è così intelligente da capire che “lo stile non si mangia “che ricorda la simile frase di Tremonti che “la cultura non dà da mangiare”. Che popolo acuto e intelligente avremmo se, molti la pensassero così. Che progressi avremmo avuto in Europa e nel mondo, senza cultura, senza stile che ne è conseguenza. Certo nel pianeta delle scimmie, tutte mangiavano, come del resto mangiamo noi, magari con più stile. Non credo che il nostro Maffei sarebbe lieto di una simile società.
All’amico Gilli vorrei chiedere se, con coscienza e conoscenza, mi sa indicare il nome di un capo dello Stato, e non solo italiano, eletto dal Parlamento o dal popolo, che sia stato garante e “neutro”. Garanti della Costituzione più o meno tutti, ma neutro? Quasi fossero uomini senza storia, senza passato, senza idee. Gente vissuta in un altro Stato, forse in un altro pianeta. Il Presidente, al di là delle parole, è presidente della Magistratura, della Difesa, nomina i governi e tanto , tanto altro ancora. E Gilli lo vorrebbe “neutro”?

E infine Gianni Porzi di cui già ben conoscevo l’opinione su Napolitano. Il suo è un corretto giudizio sul passato, abbastanza lontano, di una persona, di un’epoca che non abbiamo condiviso, che abbiamo combattuto. Certamente si può credere o non credere allo sviluppo delle idee di un personaggio politico, ma non mi pare giusto giudicare il passato ignorando il presente. Il dissenso di Gianni mi sarebbe apparso accettabile, sulla bocca di un parlamentare, prima della votazione alla Presidenza, per votare no. In tal caso sarebbe stato un legittimo criterio per decidere la votazione. Ma, ad un uomo razionale come Porzi, chiedo se il mio giudizio di stile fosse rivolto alle persone e alla storia del Presidente o piuttosto al suo comportamento attuale, al contenuto del suo messaggio, all’analisi effettuata. Tutti i politici, più o meno grandi, hanno storie controverse, comportamenti e giudizi sbagliati, come peraltro sbagliati sono spesso quelli di chi li giudicava.
Giustamente la storia personale di ognuno va ricordata: è il nostro memoriale degli errori.
Non dobbiamo però dimenticare che uno dei problemi più gravi del nostro Paese è stato nella divisione politica, frutto della guerra civile del 43-45. Erano tempi drammatici per tutta l’Europa, ma particolarmente per l’Italia dove si espresse con violenze e dolori.
Ritengo che un forte residuo di tali memorie storiche sia ancora in molti di noi, i più anziani.
A parte i giudizi che toccano agli storici e che saranno assai severi, e le stesse sentenze già emesse (come la fine della esperienza comunista in tutta Europa, Russia compresa,) ora il mondo si trova con ben altri problemi e ben altre prospettive. Ritengo quindi, senza mutare giudizio su quegli eventi, che essi vadano superati e le persone valutate per l’attualità di ruoli e pensieri. Ad esempio, per quanto riguarda l’europeismo di cui Napolitano da molto tempo è chiaro sostenitore, dobbiamo ancora imputargli che, come per tutti i parlamentari comunisti del tempo, negli atti costitutivi europei, appare la firma di Napolitano, come contraria alla costituzione dell’Unione Europea?
Credo, pur apprezzando la coerenza di Porzi, bisogna fare uno sforzo per distinguere ruoli, tempi, situazioni. Se agli storici compete la visione documentata e la narrazione del passato, ai contemporanei, ai politici, ai critici, agli osservatori compete il presente e per quanto possibile, una intuizione di futuro, senza dimenticare che nella storia, non ci troviamo, come nella matematica, nella chimica e nella fisica di fronte ad una scienza esatta. Ma di fronte ai comportamenti, ai pensieri, alle idee di uomini, artefici e vittime delle intemperie della vita.

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Credibilità

Uno degli elementi fondamentali alla base della gestione del sistema democratico è la credibilità: del sistema, delle forze politiche, delle persone.
La credibilità è spesso collegata alla delusione, alle promesse non mantenute, alle illusioni proposte. Diventa giudizio di inaffidabilità, di incertezza sul futuro, di timore.
È un fatto psicologico che però pone le sue basi su eventi concreti, di cui talvolta le responsabilità sono più ampie e più collettive, legate ad altri eventi, ma di cui si imputa la colpa a chi viene ritenuto l’attore finale, soprattutto se la gestione della parte finale è lunga e non trasparente. È anche un problema di corretta informazione, che esige però anche la credibilità dell’informatore, del giornalista, della tv. Nell’attuale situazione, per una ragione o per l’altra, i credibili sono pochi, ma altrettanto poche le alternative.
Quando Berlusconi promette una politica, la gente, non lo trova oggi credibile, perché ricorda le promesse fatte e non mantenute, i patti firmati in tv, il milione di posti di lavoro, la fiducia accordatagli, gli anni di governo. E, ricorda anche il flop finale, e la crisi gravissima che stiamo vivendo, che, pur essendo di dimensioni e responsabilità più ampie, per quanto riguarda l’Italia, viene in larga parte, imputata ai suoi governi.
La scarsa credibilità della dirigenza politica, trova il suo collegamento, nell’area di sinistra, nella spinta alla “rottamazione”, nel rinnovamento di una linea politica meno legata ai passati individuali, dagli errori commessi, anche se, la maggiore organizzazione dimostrata dà però qualche suggestione positiva. Come può essere credibile il grillismo, con il suo vuoto programmatico, il suo atteggiamento di dileggio con tutti, le tentazioni antidemocratiche all’interno, la scelta delle persone con la logica della lotteria.
I sessantenni sono poco credibili per ragioni di usura: Fini e Casini già ministri e presidenti della Camera, Montezemolo Nobel dell’incertezza, Oscar Giannino elitario e saggio, ma poco popolare, medico serio ma severo, in un periodo negativo per la severità.
Monti è personalmente credibile, più sul piano internazionale che interno, e come spesso accade, da lui credibile, ci si attendeva molto di più. Va peraltro riconosciuto che a Berlusconi qualcuno perdona anni e anni di governo, a lui se ne imputa uno, il più drammatico e il più difficile da gestire, con una maggioranza di voti contrastanti, come le linee politiche espresse.
Ignoriamo le sottoliste, con membri del precedente governo, da Tremonti a La Russa che si battono per “nuove” politiche, quelle che non hanno saputo realizzare.
In questa crisi profonda la credibilità dei partiti è sempre intorno al 4%, che è il livello generale della fiducia dei cittadini.
Sembra che chiunque vinca non possa decidere le scelte del Paese, che si ponga in modo diverso, la soluzione greca con due elezioni successive.
Su casi come questi, avvenuti in altri tempi e in altri paesi, c’è in genere stato un riferimento credibile: di fronte alla crisi di Algeria e della 4° Repubblica francese, ci fu De Gaulle, in Spagna Francisco Franco che restaurò la monarchia, in Inghilterra, a fronte della gravissima crisi sociale, venne la Tacher.
In Italia pare che non abbiamo un leader di riserva, per sostituire la decadenza anche fisica di chi ci ha portato fin qui. Non abbiamo uomini che si siano al livello dell’emergenza e non osiamo pensare per questo agli Alfano, ai Maroni, ai Cesa, ai Bocchino e via dicendo. Questo è un pericolo per la democrazia, per l’economia, per le istituzioni.
Il nostro piccolo De Gaulle dovrebbe essere Monti?
Solo se avesse un largo consenso, una vera leadership, una storia politica idonea ad affrontare il momento che viviamo. Non vorremmo applicare, in realtà non lo merita, l’atteso motto latino “In terra caecorum, monoculus Rex” (In terra di ciechi, chi ha un occhio è Re), ma la tentazione è forte e induce alla tentazione.
Tra tanti, si cerca qualcuno in cui credere, che ci conceda un po’ di speranza, che ci convinca del valore della frase pronunciata da John Kennedy al suo insediamento: “Non chiedetevi cosa può fare il vostro Paese per voi. Chiedetevi che cosa potete fare voi per il vostro Paese”. John Kennedy era un uomo credibile, ma l’Italia non è un paese che si chiede cosa fare e come impegnarsi. Ha sempre cercato qualcuno cui scaricare la fatica. Ha trovato Giolitti, Mussolini, de Gasperi e pure Berlusconi, ma non abbiamo mai visto il paese, le sue componenti sociali, le sue personalità più vive e più ricche impegnarsi se non in precipitose fughe all’estero, almeno dei loro soldi. Ecco perché anche l’Italia nonostante le sue immense e spesso non meritate risorse non si rivela credibile. Purtroppo nemmeno per gli stessi italiani.

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Questione di stile

Il 2012 si è concluso con il discorso del Presidente della Repubblica, l’ultimo del suo settennale mandato. Quando fu eletto, fui critico: non mi piaceva un ex comunista come capo dello Stato, e lo scrissi. Ora a quasi chiusura della sua presidenza sento il dovere di dichiarare un parere diverso.
È stato un buon Presidente, divenendo sempre più il presidente di tutti, nonostante la diversità delle sue e le mie origini politiche, perché ha sempre dimostrato profondo rispetto istituzionale, vigilanza politica anche nelle difficoltà di rapporti con il Governo, attenzione sociale, rispetto e tutela delle prerogative costituzionali. Naturalmente alcune fonti politiche da Di Pietro a Grillo lo contestano, ma di questi critici, basta la parola, come per il confetto Falqui.
Quello che cambia è che il giudizio generale e finale sia positivo e la sensazione sia di fiducia, di garanzia, di alta guida politica. Napolitano ha dimostrato, di saper gestire con onore il proprio ruolo, nonostante i timori per le sue origini politiche.
Un processo inverso è avvenuto per altri, dimostrando che le origini non bastano, ma che contano i fatti, le promesse non mantenute, l’arroganza del potere, le squadre prevedibilmente sbagliate, i comportamenti inaccettabili.
Per nessun uomo politico si può dire che ha fatto tutto giusto o sbagliato. Anche quello giudicato peggio ha certo fatto cose positive e viceversa. Quando si tirano i conti, i bilanci, ci sono le azioni, le omissioni, gli errori, colpi di fortuna e di sfortuna, il ruolo degli avversari e, spesso più pericoloso, quello degli amici e dei sostenitori.
La conta è complessa, le variabili molte, resta però un giudizio di sintesi, tendente a diventare storico, che chiude le avventure politiche e personali.
Con il saluto agli italiani, il Presidente della Repubblica ha espresso serenità, consapevolezza, severità nei giudizi, ma non sulle persone, fiduciosa attesa per il futuro del Paese.
Un addio pieno di decoro e di stile, confacente al ruolo e all’età.
Vorremmo, almeno come fatto di stile, analoghi comportamenti. Il grande naturalista francese Georges Louis Leclerc de Buffon scrisse, quasi tre secoli fa’, “Le style est l’homme”.
Vorremmo tanto che fosse vero: che le personalità politiche, giunte a una certa età, si ritirassero in ruoli più saggi, non operativi, non polemici, non carenti di stile. Sembra che ci sia una sorta di dibattito su quale sia l’età del ritiro. La Chiesa l’ha stabilito in 75 anni, ma i ruoli sono diversi. In politica il ritiro è collegato al ruolo e alla situazione, alla consapevolezza delle possibilità psicofisiche e anche politiche, della permanenza o meno in un contesto politico vastamente favorevole, alle benemerenze reali conquistate.
Ci occupiamo della dirigenza che dovrebbe uscire da sola, con dignità, occupando onorariamente ruoli più defilati, non facendo venir meno la preziosità dell’esperienza, della cultura, del consiglio. È il discorso dello stile.
Lord Brummel, considerato l’uomo più elegante del suo tempo, sosteneva che la vera eleganza stava nella normalità, non sull’eccentricità. Qualcuno gli disse “Come siete elegante” e Brummel rispose “Mi si vede forse qualcosa?” Ma più idonea al nostro discorso è la sua affermazione “restare nella società per il tempo necessario per produrre un effetto, quando l’effetto si è prodotto, andatevene”. Non guardiamo all’eleganza degli abiti, ma a quella dei comportamenti, anche in politica il discorso dell’eleganza e dello stile. Se pensiamo a parte della nostra classe politica, chissà perché, ci vengono in mente le scope di Maroni, le rottamazioni di Renzi, le ingiuriose e affermazioni di Grillo, le corti berlusconiane in attesa di udienza e altro ancora. Ma anche i comportamenti di Veltroni, D’Alema e molti altri meno noti in ogni schieramento. Già, “Le style est l’homme”.
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Buon Natale

 L’amicizia non è continua frequentazione, pratica comune di vita: è ricordo, stima che non si attenua, gioia dell’incontro nel tempo.

Tanti auguri

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Il delfino ammaestrato

Uno giudica e decide: l’altro esegue gli ordini. Pur avendo una simpatia personale (non lo conosco direttamente e non ci ho mai parlato) un po’ istintiva, un po’ solidale, Alfano mi è parso spesso un po’ patetico.
Scelto nel pollaio ha fatto il suo chicchirichì tra gli applausi unanimi, quando Berlusconi lo indicò segretario del partito. Sembrava la riunione del politbureau sovietico, un po’ più aperta al pubblico: al posto suo avrebbe potuto esserci chiunque altro, purché indicato dal capo.
Poi il capo stesso cominciò a dubitare della sua stessa scelta: diceva che gli mancava il quid, non capiva certe ragioni politiche, voleva le primarie per giustificare la sua anomala ed eterocratica posizione, fino a dirgli, a 40 anni, di avere bisogno di tempo per maturare come leader.
Ubbidiente fino all’eccesso, come spesso avviene, diventa più oltranzista del suo capo e si fa carico (altrimenti che segretario politico è?) di portare la sentenza di condanna al governo Monti in modo assai duro, pur se condito con qualche gentilezza personale. Un Bondi un po’ più giovane e meno naturalmente predisposto.
Qualcuno si chiede se, fatte le primarie, le cose sarebbero state diverse, ma è una pia illusione. Le primarie di un partito presuppongono che un partito ci sia, sia vivo e partecipato dalla gente che ci milita e che lo vota. Nella lunga storia del mondo, non risultano elezioni, volute dal Re per ridurre il potere di una bella monarchia, , ricca e potente, circondata da parecchi eunuchi o da un harem numeroso.
Ecco perché tutto ciò che riguarda il Berlusconismo, per ovvia ragione insuperabile, dipende solo da Berlusconi. È decisamente il più forte nella sua area, tutti gli devono qualcosa, unisce forza economica a forza politica ed ha grinta da vendere anche se spesso  la usa in modo controproducente. Ora alla chiamata alle armi, risponderanno in molti, soprattutto parlamentari senza voti da lui creati dal nulla, fedeli a lui in quanto fedeli a se stessi ed alla propria carriera altrimenti finita.
Si vuole far rinascere il centro destra., dare un partito ai moderati, la solita alternativa ai comunisti che non ci sono più, almeno nel partito democratico Italiano e sopravvivono solo nella lontana Cina e dintorni.
Tra i moderati ci sono alcuni ex MSI, alcuni oltranzisti di Forza Italia (la Santanchè è una moderata?) ed i leghisti che hanno caratterizzato i successi dell’ex governo Berlusconi Bossi?
 Il dibattito sulla moderazione sarebbe lungo e soprattutto è relativo. Chi vuole l’ergastolo è certo più moderato di chi sostiene la pena di morte, i siciliani che accolgono, anche se obtorto collo, gli extracomunitari, sono certo molto moderati rispetto ai maltesi che li respingono in mare. La moderazione è un modo di essere, non supera l’applicazione della norma ma non la esaspera, tutela lo Stato di diritto anche quando sembra essere più favorevole al reo che non all’innocente. Non scatena odi di classe, ma tende all’equilibrio ed al dialogo.
La moderazione non va confusa con un pensiero politico, qualunque esso sia, che può essere gestito moderatamente, a seconda del modo di essere degli uomini. Una attenta valutazione, tra le scelte politiche possibili, la può caratterizzare, il non rendere alternativo ciò che può essere collaborativo, l’avere dello Stato un concetto unitario che tutte le forze politiche in campo sentono come proprio, pur nella diversità delle opinioni di governo.
A parte la vis personale certamente si deve considerare Berlusconi un importante personaggio ma non un moderato, un uomo di lotta che esaspera i problemi per qualificare i dissensi, che seleziona il suo personale politico in base alla fedeltà “cieca, pronta, assoluta”, come i comunisti ai tempi di Guareschi, per fare battaglia al cattivo avversario.
Mi sembra che Alfano sia una moderato, di per sé, un dialogante, di cultura più generale che particolare, uno che sa mediare. Ma è cresciuto nella logica politica di parte, nella cultura di Carl Schmidt, quella dei politici amici o nemici. In più è siciliano, e in genere e con tante belle eccezioni, sono pronti al compromesso, spesso alla obbedienza, amanti del potere, sensibile ai poteri, ed è nato, pur se certamente bravo, per superiore volontà e non certo per libera e segreta votazione. Come può Berlusconi cedergli un potere vero, lui che in verità non ha mai voluto un successore? Un delfino si, ma ammaestrato.

Ed ora, dopo il primo turno delle primarie, cosa succede?

Mi piace pubblicare una nota del caro amico Bartolo Ciccardini, assai interessante, come sempre, per i riferimenti storici. (af)

Le primarie sono belle. Dice l’onesto Quagliarello del Pdl che sono state una lezione di democrazia. Tre milioni e mezzo di cittadini vanno a votare candidati contrapposti per scegliere il candidato della coalizione alla Presidenza del Consiglio. È il bello della diretta.
(Permettermi, fra parentesi e senza nessuna ostentazione un cenno personale di orgoglio. Fui fra gli organizzatori della prima primaria assoluta in Italia: quella di Dossetti. E ne feci il manifesto che le annunciava: avevamo utilizzato l’affresco della Basilica (?) di San Petronio, raffigurante l’Assemblea dei Santi, che alludeva a cosa pensasse Dossetti delle primarie. In un Convegno da me organizzato nel ’71, proponemmo le primarie contrapposte al primo “porcellum” italiano delle liste bloccate, senza preferenze, ai Congressi. Sono stato accanito sostenitore di questo sistema con Segni, con Parisi e con Prodi. Chiedo scusa per l’orgoglio).
A Bersani va il merito di avere voluto le primarie, di averne affrontato il rischio, di aver accettato uno sfidante scomodo. A Vendola, Puppato e Tabacci va il merito di aver accettato il rischio di contarsi per dimostrare la dimensione della coalizione. A Matteo Renzi va il merito di aver impersonato seriamente il ruolo di sfidante. Il partito democratico ne esce ingigantito, la coalizione irrobustita e favorita. La nebbia si è alzata e sotto il sole della politica buona svaniscono Grillo e le sue cazzate.
Cosa avverrà? Se Bersani vincerà, gestirà bene il suo capolavoro: è affidabile e concreto. Se Renzi vincerà, dovrà diventare saggio, assennato e generoso e potrebbe anche riuscirci. Se perderà dovrà scrivere per la prima volta in Italia, un bel telegramma di fine partita, con i dovuti auguri per il vincitore. E dovrà mettersi alla stanga.
Vendola dovrà scongiurare, dato che è intelligente, la supponenza che ha sempre  spinto la sinistra alla sconfitta. Anche lui dovrà scrivere e praticare un bel telegramma di auguri.
Il pericolo per il centro-sinistra,che vuole vincere e governare, è l’antica supponenza di quelli che sono “più a sinistra di tutti”, che hanno la pretesa di “camminare con la storia”, di “essere l’avanguardia”, e che pretendono che la minoranza guidi la maggioranza. I supponenti sono quelli che espulsero Matteotti e Turati perché erano di destra, mentre le squadre fasciste armate di manganelli e di olio di ricino vincevano; quelli che fecero cadere due volte Prodi per andare ancor più a sinistra.
A Vendola voglio ricordare un diverso, nobile e ben fruttuoso comportamento: quello di Togliatti a Salerno, quando mise a tacere diverse supponenze ed accettò tutti, perfino Badoglio, per unire l’Italia contro l’occupante tedesco. Così l nemico da battere fu battuto e così dimostrò di essere uno statista. (Potrei citare anche l’art.7 dalla Costituzione, ma non voglio esagerare con le esortazioni e le lodi).
Vendola prenda esempio da Togliatti, non sia supponente, ed accetti tutti quelli che saranno utili e necessari per sconfiggere l’antipolitica di Grillo e per riassorbire l’emergenza tecnica che ha commissionato la politica italiana.
Questo è un compito difficile, ma necessario per l’Italia. Ho notato una inutile nota di supponenza nei sostenitori di Bersani, quando definivano, con un certo senso di nausea, Matteo Renzi liberale, liberista e perfino social-democratico (che era l’insulto estremo dei comunisti). Quando la Bindi, essendo ancora vigente la legge elettorale“porcata”, che permette di presentare liste bloccate, vale a dire di nominare i deputati, si permette di minacciare: “Le liste, le farà il partito!” dimostra di non capire quello che sta succedendo (e sono gentile per antica amicizia). No, cara Rosy, se resterà questa legge elettorale con le liste bloccate, l’ordine di lista si dovrà fare con consultazioni popolari, ovverossia primarie. Altrimenti le primarie di questa domenica sarebbero state solo una truffa.
Bartolo Ciccardini

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Il Pungitopo

Ostriche e porcelli

L’idea più chiara di un mercato senza regole è oggi rappresentata da un souk arabo. Si tratta, si contratta, i prezzi vanno su e giù, in una lingua, come quella araba, a nuovi incomprensibile.
Anche noi abbiamo i nostri suk, il più noto è in centro a Roma, a Montecitorio. In questo periodo il prodotto in trattativa è la legge elettorale, disdegnata dagli arabi perché trattasi del porcello, amata dai leghisti che l’hanno inventata con Calderoli che, forte dell’esperienza, propone ora, al suk, le sue ipotesi di modifica, normalmente peggiorativa. Si tratta di una trattativa più finta che vera, dove si gioca sulla pelle dello stupido elettore per modificare il suo voto come vogliono i mercanti del suk.
Dopo tante finte grida, falsi litigi, descrizioni del nuovo porcello, improvvisamente, come per intervento divino, troveranno l’accordo, quello che c’era già. Come nella veste contadine il porcello verrà truccato, qualche nastro colorato, del verde aromatico per evitare la puzza, il fumo per nascondere il delitto.
 Noi dovremo berla, come vogliono loro e salveremo i loro poteri, le porcherie, anzi le porcellerie.
Così si mutano i termini del problema: loro ci lasciano il porcello e pranzano ad ostriche e noi, col fumo giornalistico e televisivo, ci accorgeremo che le bestie siamo noi, tutti, anche quelli che credevano di capirci qualcosa.
Ci resta la consolazione di avere dei politici così raffinati da farci tutti fessi. Apparentemente solo per un porcello.

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Tra usato sicuro e rodaggio del nuovo

La sorpresa, se così si può dire, delle primarie del Partito Democratico non è certo il successo di Bersani, che era ampiamente prevedibile, ma la dimensione del risultato di Renzi, che ha saputo conquistare a pieno titolo, un’ampia legittimazione politica che troverà nel ballottaggio un’ulteriore conferma, indipendentemente dalla vittoria finale, sia alle primarie che poi alle elezioni politiche.
Va detto che, di fronte alla situazione di sfacelo del PDL ed alle tattiche dilatorie di Berlusconi, la situazione del partito democratico, nonostante le difficoltà politiche inevitabili all’interno, appare paradisiaca.
A fronte di beghe personali, di lotte per la sopravvivenza politica individuale, di finte e reali forme di indipendenza dal sovrano del partito, di miliardari inventati all’ultimo momento (meglio l’originale che la copia) il PD ha saputo esprimere una unità nella diversità delle tendenze politiche, che non ci aspettavamo, data anche la forza polemica della gara.
Nella contrapposizione si va dall’usato sicuro rappresentato da Bersani, al nuovo (ancora un po’ da rodare) di Renzi. Decisamente una bella gara. Sarebbe più interessante se ci fosse di fronte qualcosa di simile nel centrodestra ma, purtroppo per il Paese, c’è solo l’usato. Di nuovo, nonostante la buona volontà di qualcuno, e il viso pacifico e rassicurante del giovane sindaco di Pavia, non c’è aria di rinnovamento politico forgiato da qualche battaglia.
Bersani è una persona perbene, e non mi spaventerebbe affatto se governasse il Paese. Penso che sarebbe più forte di Prodi e cederebbe di meno alle pressioni delle varie sinistre, più o meno estreme, che peraltro non ci sono quasi più. È un usato sicuro sulla cui fedeltà al Paese non avrei dubbi, mentre sulla Lega e sui suoi alleati, nonostante la fine politica di Bossi, avrei molte, molte perplessità.
Renzi ha il grande merito di avere risvegliato il suo partito, di avere ottenuto spazio politico senza chiederlo in ginocchio ma conquistandolo con la propria forza e capacità. Che differenza con la plebiscitaria nomina di Alfano, voluta da Berlusconi, definito da lui come un figlio e che probabilmente verrà lasciato sulla barca del PDL. con la Russia e Cicchitto, nel mare in tempesta.
Molto più coraggiosa Giorgia Meloni, raro caso di donna giovane e carina, proveniente dalla politica e non dai festini romani.
Renzi al governo è un po’ da rodare. Ma essere stato, ancor giovane, presidente della provincia e sindaco di Firenze gli dà l’esperienza politica e istituzionale che gli serve. Del resto se il paese esprime, quasi al 20% la fiducia in Beppe Grillo e per il 30% nell’astensione dal voto, non ci sono molti santi cui votarsi.
Posto che il centrodestra, almeno per ora, non esprime che una serie di dignitose scialuppe di salvataggio, da Oscar Giannino a Luca di Montezemolo, dall’UDC a Fini, dai vari rottami del PDL, dalla Lega maroniana ma sempre la stessa, ad una ipotetica e difficile formazione strettamente Berlusconiana, al momento possiamo valutare solo la sinistra.
Per chi voterei tra i due candidati emersi dalle primarie del PDL? Chi preferirei come presidente del consiglio? L’usato sicuro è più tranquillizzante: ha esperienza di governo, è persona matura ma non vecchia, è uomo colto ed amministratore di lungo corso, certo avrebbe più difficoltà a modernizzare Parlamento e Governo, a dimenticare le storie comuni, antichi rapporti e militanze, ad esprimere una dirigenza capace di entusiasmo, di novità, di innovazione, di strappi, di coraggio. C’è il sicuro, che è lui, ma c’è anche parecchio di usato e riciclato.
Renzi, che pensiamo non voglia fare solo il rottamatore (ottimo lo slogan, ma insufficiente) rappresenta certo minore tranquillità, si potrebbe circondare solo di un bel gruppo di ex onesti boy scout, potrebbe essere espressione generazionale, dimenticando che, fuori dal potere, ci sono giovanissimi anziani da utilizzare, nei limiti del loro ruolo  Ma potrebbe sapersi liberare dai vecchi veri, quelli che stanno al potere da una vita, nella burocrazia, nelle magistrature, nelle authority, in tutti gli anfratti del potere.
Sarebbe una impresa titanica, contrastata non dalla Roma ladrona dell’immagine leghista ma dalla Roma padrona, anche attraverso le lobby e le resistenze burocratiche ancora peggiori, le pressioni falsamente elettorali, le associazioni e gli ordini, tutta la serie di persone e categorie che vogliono il proprio bene, non quello di tutti, della collettività. Ci vuole coraggio ed anche una dose di incoscienza.
Ma di cosa ha bisogno l’Italia: di privilegi, di ricchi finanzieri normalmente evasori, di criminali ben organizzati, di politici disonesti, di taxisti arrabbiarti, di sindacati che scoprono solo ora i problemi dei loro lavoratori, di presidenti di provincia che minacciano di lasciare gli studenti al freddo per salvare il loro posto, di regioni che affrontano i problemi a ostriche e champagne? O del coraggio delle scelte, del sapere dire di no, del cancellare, ma sul serio e subito, privilegi e porcherie, salvando i diritti ma combattendo gli abusi, guardando al futuro del paese.
Sì, io, moderato e riformista insieme, pentito delle mie illusioni, vorrei una rivoluzione, di quelle vere. Sarebbe utile, ma per ora mi accontenterei di Renzi.

La meraviglia… di Fabrizio Paganella

Caro Aventino, allego un intervento che mi è stato ispirato da quello, piuttosto incredibile, del presidente Anci al quale hai risposto da par Tuo.

Desta sempre meraviglia come l’uomo preferisca di gran lunga ingannarsi e travisare la realtà piuttosto che riconoscere i propri errori; quelli di valutazione, i più personali, sono anche i più difficili da ammettere e quanto più l’errore è stato madornale ed unanime e plateale la sua denuncia, tanto più si arrocca in giustificazioni che non giustificano, in alambicchi verbali che mortificano buon senso e intelligenza anziché liberarli. Da quando in qua non si imputa come responsabilità principale di chi governa il non saper scegliere i propri collaboratori? Ed in special modo se la selezione è autocratica, lontana da qualsiasi congresso o assise, insofferente ai bilanciamenti e ai conflitti di interessi che sono, anzi,  riguardati, tutti, come un impaccio e un freno all’efficienza.
Che diamine, uno solo deve parlare e decidere! Questa è la nuova, moderna (nuova, moderna?) democrazia: quella dell’azienda padronale, anche se ci si dimentica che le aziende che producono meglio sono quelle lambite dal Reno dove c’è un capitalismo ben diverso.
Molti italiani rimangono contagiati dal mito dell’uomo solo al comando che è sempre più grande e importante del Paese e dei cittadini che governa i quali, anzi, non lo meriterebbero neppure.
Per molti italiani Mussolini rimase un grande statista con l’unico difetto che si circondò di fascisti!
Vogliamo qualche esempio a caso di senso di responsabilità di veri uomini di stato rispettosi delle istituzioni e del popolo? Il primo ministro inglese Harold Macmillan si dimise nel 1963, un mese dopo che venne depositata nel suo parlamento una relazione che incolpava un sottosegretario del suo governo, Jhon Profumo, per uno scandalo che impallidisce a fronte di quelli a cui il governo Berlusconi ci ha abituati. Il cancelliere Willy Brandt si dimise nel 1974, dopo che i suoi servizi segreti scoprirono che il capo della sua segreteria particolare era un agente della DDR eppure quell’errore di valutazione su Guillame lo commise tutto il suo partito, la SPD, che lo accolse e lo promosse a dirigente di vertice.
Vogliamo fare dei paragoni? No, risparmiamoci questa ulteriore sofferenza, però, quando i sogni si trasformano in incubi, riconosciamolo e svegliamoci!
Fabrizio Paganella

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Caro presidente, caro Giorgio,

Le tue note sono sempre simpatiche e non scevra di verità. Fanno comunque riflettere e rendono meno categorici. Nella tua nota si potrebbe, da parte mia, condividere molto, magari solo scambiando qualche parola. “Il miglior uomo politico dell’ultimo ventennio”, hai detto.
Ricordo quando, scandalizzandomi, Berlusconi disse che era stato come e meglio di De Gasperi. Potrei obbiettare, mutate le condizioni, che anche Mussolini non ha avuto avversari di governo e molti lo considerarono il migliore, come del resto chiamarono Togliatti. Non voglio esagerare, ma la politica, come altre cose del mondo si vede dai risultati.
Tutto il gruppo di potere che giustamente demonizzi, Casini, Fini, Tabacci, Follini (mi sorprende la tua esclusione di Bossi dall’elenco) sono persone con cui si è alleato lui, con patti separati e accordi divisi (Fini a sud, Bossi a nord) li ha accumunati ad altri che tu esoneri da giudizi, da tante fanciulle dotate di molto seno e poco senno, da yes man che abbiamo insieme conosciuto, ed anche persone valide, ma rese innocue sino alla resa. Qualcuno lo conosci.
Hai ragione quando dici che ci ha fatto sognare. E noi, tu, io, tanti altri abbiamo sognato. Ogni tanto con qualche incubo, le facce di alcuni dei nostri colleghi di partito, che sognavano meno di noi ed erano totalmente svegli nell’andare a pesca di potere, gli affari, di denaro. Noi eravamo un po’ l’eccezione, pur con i nostri errori, il sogno delle origini fastidioso per molti. Ci sono parecchi d’accordo con te, pare siano passati dal 38% al 16% e poi quale alternativa?
Concordo sulla conclusione come fatto necessario, come noi, Monti non è un giovane di prospettiva. Sono certo che ricordi i miei predicozzi sulla classe dirigente, indispensabile per il futuro. Per ora, prendiamo valium, riflessione e pazienza. tutto al contrario di Cecco Angiolieri.. Un abbraccio

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Sì certo Senatore! Ti lascio dire, ma stavolta lascia perdere.

Berlusconi è stato in quest’ultimo ventennio il migliore uomo politico che il Paese ha avuto.
Intuizione, capacità, caparbietà e resistenza. Una Magistratura che ha fatto di tutto pur di vederlo annientato. Una classe politica di mezze cartucce. Un Casini disdicevole, un Fini miserabile, un Tabacci senza pudore, un Follini mezza sega e tanti uomini vicini senza qualità alcuna. Non è questione di essere berlusconiani a tutti i costi ma semplicemente di guardare in faccia la realtà.
Per batterlo sono state organizzate flotte con dentro di tutto: mercenari, traditori, affaristi. Poi tutto alla malora e l’uomo ritornava con ancora maggiore entusiasmo. Colpi di stato veri e propri!
Scalfaro il peggio dei peggio! Ora Napolitano!
Lasciami dire: anche se Berlusconi non è riuscito, è stato comunque l’unico uomo capace di far sognare il Paese e noi, in quel sogno, abbiamo creduto. Ora è vero si vuole che si faccia da parte.
Ma con chi sogniamo! Con Bersani? Ma lascia perdere. Con Grillo? Non è da noi.
Lasciami dire Senatore: tempi duri per il nostro Paese, ma noi dobbiamo combattere! Via Casini, via Fini, via D’Alema e Bersani, magari via anche tanti del centro-destra PDL e speriamo che torni qualcuno capace di farci sognare.
(P.S. Intanto vediamo un Monti bis che almeno sistemi i conti del Paese poi si vedrà)
Giorgio Dal Negro
Presidente Anci

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Condividi, oppure ritieni sia un mio parere maligno? di Gianni Porzi

Caro Aventino,
                          mi farebbe molto piacere confrontare la mia opinione con te su una sensazione che provo da tempo.
A me sembra che gran parte degli italiani possano essere suddivisi in coloro che criticano l’operato di Berlusconi con obiettività e buon senso, quelli che sono berlusconiani inossidabili e quelli che sono antiberlusconiani viscerali. Ovviamente, i primi sono coloro che in buona parte sono passati nelle file degli astensionisti in quanto delusi dalle promesse fatte da Berlusconi e non mantenute. I secondi sono per lo più gli “anticomunisti senza se e senza ma” che vedono ancora in Berlusconi il salvatore dell’Italia post tangentopoli, la persona che 20 anni fa salvò l’Italia da Occhetto, ma che oggi non rappresenta più quell’esigenza di cambiamento allora largamente diffusa nel Paese ed oggi ancor più sentita. Chi sono invece gli antiberlusconiani viscerali? Dalle reazioni di alcuni di mia conoscenza ritengo appartengano alla pericolosa categoria degli invidiosi. Infatti, sulla base della mia esperienza sono persone colte (tutte laureate), con redditi che gli consentono una vita agiata, sono perlopiù quei radical chic appartenenti alla media borghesia. Ma perché sono così violentemente antiberlusconiani? Perché, a mio avviso, sono tormentati dall’invidia, sentimento devastante che genera odio e che nasce dal fatto che pur provenendo da famiglie non dissimili da quella di origine di Berlusconi, non sono riusciti a raggiungere il successo e il livello di benessere del Cavaliere (e forse anche invidiosi delle avventure in campo femminile, sempre se le notizie giornalistiche sono veritiere). Poi nascondono questo sentimento di profondo odio, dietro il fatto che Berlusconi non ha fatto nulla per il Paese, ma solo per se stesso, che non è credibile anche a livello internazionale, grazie anche al famigerato bunga bunga, etc. Ma la verità vera è che sono tormentati dall’invidia, tant’è che appena sentono solo fare il nome di Berlusconi, diventano rossi in volto, cambiano perfino l’espressione del viso e alzano progressivamente la vece per poter affermare a tutti il loro antiberlusconismo, come se dovessero espellere un bubbone che li tormenta. Costoro non riusciranno a liberarsi di questo enorme peso (a volte l’invidia è ammirazione segreta) fintanto che Berlusconi sarà su questa terra e non è un caso che, in occasione del lancio della statuetta che colpì il Cavaliere, sentii qualcuno rammaricarsi per il fatto che non era stato colpito a morte. Questi individui, che hanno poi il coraggio di definirsi democratici, vedrebbero volentieri penzolare Berlusconi in Piazza Loreto. Poi, fortunatamente, ci sono anche gli antiberlusconiani intelligenti che legittimamente sono contrari alle politiche del Cavaliere e rivendicano il proprio pensiero politico con molta correttezza, come ad esempio il giornalista Piero Sansonetti (ex Direttore di Liberazione e attualmente di CalabriaOra) che motiva la sua posizione senza che trapeli odio nei confronti di nessuno.
Un carissimo saluto.
Gianni

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Berlusconi uno spreco? di Giorgio Dal Negro

Condivido l’opinione che parte degli italiani è ancora divisa, tra coloro che criticano con obiettività e il buon senso, quelli che sono berlusconiani inossidabili e quelli viscerali, carichi di sentimenti negativi, di odio, di rifiuto e come dici di invidia.
Sappiamo bene che, la stessa gente prima ti esalta e poi ti critica ferocemente, prima applaude e poi assiste alla impiccagione.
Tutto ciò non riguarda certo Berlusconi ma, la volubilità dei sentimenti popolari e delle loro scelte. Anche come spesso avviene i grandi amori delusi si trasformano in odii feroci. In questo caso il personaggio è talmente complesso che ogni giudizio non può che essere parziale o insufficiente.
Dotato di rilevanti doti umane di simpatia e di leadership si afferma anche tra gli amici ed i compagni di scuola, organizza iniziative ed è molto ambizioso fin da giovane. Doti non perse col tempo.
Riesce a diventare, presto, un grande imprenditore edilizio, in una Milano che esplode e si sviluppa. Sa rischiare e lo fa, anche investendo in aree diverse, come la nascente televisione privata. Dimostra di avere intelligenza e furbizia, un cinismo che talvolta si confonde con la generosità ed è abile venditore, anzi abilissimo. È intriso di valori che -male gestiti o interpretati- appaiono disvalori. Conosce bene il valore del denaro e del potere, ne vive le interconnessioni e le dimensioni.
Vede le cose in grande e sa operare in grande. Vede la politica come potere, lo confonde con quello privato, aziendale, ne mischia le logiche e ne soffre le procedure, ma sente, a pelle, le battaglie dove può vincere, consapevole comunque della propria capacità economica e fisica di resistenza.
Non gli mancano forme di grandeur, dalle molte, troppe ville megagalattiche alla tomba mausoleo, dove riposare con gli amici più importanti, quelli che ci stanno.
Dietro a tutto ciò ci può essere la capacità dell’imprenditore, la genialità dell’uomo d’affari, la spregiudicatezza e le amicizie importanti ben utilizzate, anche la volontà di fare per il Paese, di cambiare le cose, di stimolare la speranza della gente, di essere presente, pari tra pari, nei consessi internazionali, ed al tempo stesso usare personaggi assai discutibili per i propri scopi, diventando così ricattabile e trascinabile in affari e vicende che ritiene di poter controllare. Al tempo stesso sa utilizzare persone di alta qualità, consapevoli però di poter dare solo consigli, normalmente inutili. Non ha molto vivo il senso dello Stato, delle sue regole che considera arcaiche, confonde ruoli privati e palazzi pubblici, con la convinzione che il potere consente questo ed altro.
Come dare un giudizio, quando poi ci sono intere biblioteche (gli autori sono spesso gli stessi) che lo illustrano come un malfattore, con l’elaborazione sistematica di atti istruttori e ora anche sentenze, che sono frutto di un’attenzione particolare della magistratura che molti ritengono persecuzione. Non c’è da stupirsi se un personaggio così, divida nei giudizi, amici e nemici, delusi e lieti dell’insuccesso.
I berlusconiani, quelli che hanno creduto, dopo la delusione di tangentopoli, alla sua promessa sono ora ovviamente divisi: gli inossidabili sono legati da un vincolo fideistico o d’interesse al suo permanere che li salva dal tracollo totale. Altri più moderati nel giudizio, sono quelli che hanno saputo esercitare una legittima e seria critica a lui, alla sua corte di muti servitori, alle cose non fatte. Vivono -con molte domande senza risposta- il dolore e la rabbia della delusione, in un certo modo la fine di un sogno al quale ci aveva indotto il grande incantatore.
Gli invidiosi li considero poco e di scarsa qualità. L’invidia è una cattiva compagna e, in genere alligna tra persone che la sentono come ingiustizia, quindi si considerano “alla pari”, meritevoli anch’essi della “fortuna” altrui. Non credo siano molti a odiare Berlusconi per invidia e non posso vederli tra dentisti, avvocati, medici, docenti e simili.
C’è troppa differenza di status.
Il personaggio non lascia code di invidia, ma di delusione, lascia le ferite di progetti inattuati, di comportamenti imprevedibili e censurabili, di leggi non fatte. Soprattutto di non avere utilizzato vent’anni della nostra storia e della nostra vita.
In me c’è una sensazione amara di spreco, nel constatare che un uomo con tante risorse non ha saputo usarle nell’interesse di un Paese che aveva affascinato con le sue proposte. Ha preferito dare potere, come Caligola con il suo cavallo, a persone incapaci di aiutarlo ma solo di blandirlo, utilizzarlo, fare impensabili carriere grazie a lui. È stato uno spreco, per lui e per noi: lo spreco di vent’anni che potevano essere preziosi.

Tra sogni e incubi

Nonostante la drammaticità della situazione, quella europea e la nostra, uno Stato non può perdere la speranza, anche quando sembra che la perdano tutti i suoi cittadini.
Abbattere una classe dirigente invisa al popolo è una reazione naturale, in un certo senso facile, ma bisogna chiedersi dove porta. Non è più tempo di rivoluzioni cruente, anche se la rivolta elettorale ha il suo peso.
Dopo un’elezione di cambiamento i greci ne hanno dovuto fare, subito dopo, una più razionale, per affrontare meglio il futuro, che rimane comunque assai grigio.
Il tentativo di rivoluzionare il vecchio sistema italico è che l’ostacolo più serio si trova negli italiani, nel loro atavico modo di essere, nel loro modo di scegliere la classe dirigente più comoda, quella che critica e promette ma sa mantenere lo status quo ante,quello amato da lobbies e poteri consolidati. Ora però la confusione è estrema .
Se immaginiamo, in un sogno un po’ agitato, l’Italia con dei governanti legittimati da una maggioranza assoluta, ci troviamo di fronte a problemi interessanti.
Vince il PD, la sinistra, e si trova, contro l’opinione di quadri ed elettorato, di fronte all’attuazione della lettera Draghi e Trichet ed a tutto il rapporto con l’Unione Europea, che postula rigore, severità, riforme impopolari, confronti con la CGIL e gli altri sindacati.
Una sinistra costretta a una politica montiana.
Ora, nel sogno, vince la destra e -se non altro per la fresca memoria, gli italiani si ritrovano con Berlusconi, La Russa, Cicchitto, Scajola, Gelmini, Tremonti e così via, e si chiedono come faranno a realizzare ciò che in dieci anni non sono stati capaci di fare.
Addio speranza.
Cambia lo scenario del sogno e vince Casini e ci sembra di tornare ai tempi dell’ultima Dc, non quella virtuosa, ma quella che avevamo visto naufragare nell’epoca di Tangentopoli. Questa ci sembra roba vecchia, con qualche abito nuovo, ma che appare sempre più di sartoria vaticana.
Si alza il sipario ed ecco la nuova scena: vince la maggioranza Beppe Grillo e, nascosto dietro ad un immenso computer, il suo genio ispiratore Casaleggio.
Nel sogno, l’immagine, a parte quella “drammatica” del comico, è un po’ più piacevole, nuova, volti giovani, entusiasti e ridenti. Finalmente un po’ di novità e di persone veramente nuove. Più dello stesso Renzi, che così nuovo non è. Cambieremo tutto ciò che non va!
Ma come, con chi? Basteranno questi giovani volonterosi per abbattere i vecchi marpioni della burocrazia e delle varie magistrature, della finanza e della potenza delle lobby economiche?
È difficile fare una scelta,  e ci si sveglia agitati e sudati dal sogno problematico.
Da svegli si riflette su a chi potremmo affidare, tra i protagonisti di quei sogni,  i nostri risparmi, le nostre risorse, noi stessi.
I primi li potrebbero dissipare, tra Vendola e Fassina, alla faccia dello stesso Bersani e del bravo ma debole Renzi; i secondi lo hanno già fatto, complice la situazione generale, e poi sono dieci anni che li sopportiamo invano, come del resto Casini che, con il Vaticano quasi alle spalle, dubita e ripensa a come fare con l’IMU e all’eccessiva laicità dello Stato.
Né possiamo affidare una situazione tragica e pericolosa come la nostra alle pur intelligenti fantasie di un comico.
Gli astenuti, per definizione, non contano e dunque anche per noi possono solo predicare l’astinenza.
Dopo queste riflessioni non siamo alla speranza ma alla disperazione.
Almeno potessimo scegliere le persone, quelle che conosciamo, che stimiamo. Ma è cosa certa che prevarrà un quasi porcellum, e con il grande rinnovamento, si potrà sostituire la Gelmini con la Carfagna, la Minetti con la Rossi, Brancher con Verdini. Ma non tanto oltre.
Non troviamo dunque le ragioni della speranza se la capacità degli elettori di non ascoltare troppa televisione e usare più intuito e conoscenza diretta, di votare solo gente del luogo, di valutare il passato dei candidati ovunque siano collocati, non potrà esprimersi né con le preferenze, né con i collegi.
Come ci si sveglierà dal sogno di un buon parlamento, capace di fare buona politica, di eleggere un bravo Presidente della Repubblica?
E’ probabile che, una volta svegli, il sogno si trasformi in incubo, quello di continuare con la frantumazione parlamentare, con gente di livello inadeguato, l‘incapacità politica di fare accordi ragionevoli per progetti utili.
Non ci resta che pensare, pur con qualche difficoltà ma almeno un filo di speranza, al severo Presidente Monti, persona stimata e stimabile, che almeno seriamente qualcosa tenterà, non farà guerra alla Germania, non uscirà dall’euro lasciandoci in mutande, non ucciderà qualche magistrato ostile e, come ha già fatto, toglierà l’Italia dal drammatico senso del ridicolo.

Da Saint Vincent a San Vittore

Al convegno di Saint Vincent del gruppetto politico dell’on. Rotondi, già ministro per l’attuazione del programma (sic) dell’ultimo governo Berlusconi, era assente l’assessore milanese Domenico Zambetti, capo lombardo dei rotondiani, associato alle carceri di San Vittore per l’acquisto di voti della camorra calabrese in Lombardia. Qualcuno con crudele ma legittima ironia, ha detto che è passato, da Saint Vincent a San Vittore, dove ormai si dovrebbe realizzare una sala interna per i convegni politici.
Il presidente Berlusconi ha inviato un cordiale messaggio al suo ex ministro ed alla platea “con la sinistra al potere -ha affermato- gli italiani avrebbero più tasse e meno lavoro, la patrimoniale e lo Stato di polizia fiscale, non ci sarebbe alcuna ripresa, un circolo vizioso che si potrebbe riassumere così: più tasse, meno consumi, meno produzione, più licenziamenti, meno reddito, più povertà”.
Senza voler eccessivamente recriminare, si potrebbe affermare che sembra la perfetta descrizione del Paese alla fine dell’epoca berlusconiana.
Se la sinistra al potere facesse tutto ciò, sarebbe in perfetta continuità con i governi precedenti di centro destra.
La cosa che sfugge a questa dirigenza politica, è che il popolo elettore non la considera più credibile, non accetta cambiali già scadute, rifiuta un Paese dove i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. E dove si è diffusa sempre più la corruzione, l’illegalità, la malversazione, l’appropriazione indebita, ma senza una vera reazione della politica, che, in una sua parte e proprio nel PdL, sembra voler salvare “gli amici colpevoli” con le modifiche della legge anticorruzione. Peggio ancora, esprime tra i suoi dirigenti preclari esempi di malcostume e proprio nell’utilizzo del denaro che viene tassato e tolto ai “comuni cittadini”.
Come gli onesti così i disonesti ci sono dappertutto. Ma quello che scandalizza è l’assuefazione, l’abitudine, quasi una rassegnazione di fronte all’illegalità ed all’immoralità. Emblematica la frase attribuita al mitico Fiorito, il Batman laziale, “così fan tutti”. In effetti, non ci risulta esservi consiglieri regionali (in tutt’Italia) che abbiano rifiutato le “donazioni” in nero, senza rendiconto, dai probissimi veneti, lombardi, etc. ai meno probi laziali e siciliani. Possiamo solo sperare che alcuni li abbiano utilizzati per fare politica ma pare, dalle giustificazioni che girano, che abbondino costosi ristoranti, viaggi lussuosi, acquisti immobiliari, e tante altre cose che allietano la vita di chi meno fatica per guadagnarsela.
Sarebbe stato utile, al convegno di Saint Vincent, un messaggio più serio “con noi al potere gli italiani avrebbero meno tasse perché ridurremo burocrazia, sprechi, irresponsabilità, finanziamento abnorme della politica; aumenteremmo il lavoro riducendo l’immensa tassazione allo stesso, punendo la cattiva gestione dei servizi, i dirigenti che non dirigono o che, quasi sempre, lo fanno male; tasseremmo più seriamente ed efficacemente i ricchi e gli straricchi, e magari chi ha molte mega-ville, più di chi ha un appartamento o poco più; faremmo funzionare sempre più la Guardia di Finanza, e la Corte dei Conti per stanare gli evasori e i furbi. Per loro è sacrosanta una severa polizia fiscale. Stimoleremmo la crescita senza irrigidirsi nella logica che “il mercato regola tutto” ma facendo si che lo Stato, la politica, torni alle sue buone ragioni, a pagare i debiti ai suoi fornitori senza farli fallire, ad avere dirigenti capaci e non inclini alla spesa facile ed amicale. Combatteremmo i trucchi e ristabiliremmo la punibilità del falso in bilancio. Magari toglieremmo 2000 mila uomini dall’Afganistan e li utilizzeremmo per dare un colpo definitivo alle varie mafie che intossicano il Paese”.
Sarebbe un discorso più positivo di quello pronunciato da Berlusconi e applaudito dai seguaci dell’ex ministro Rotondi. Ma avrebbe un difetto di fondo: non ci crederebbe nessuno.
Dopo 10 anni di governo, cosa può dirci il ministro Rotondi, responsabile dell’attuazione del programma che era stato descritto come da Paese liberaldemocratico, rispettoso con il suo popolo, attento ai meno abbienti nel quadro dello sviluppo generale.
Sarebbe anche la vittoria di Saint Vincent su San Vittore. Anche se giova ricordare che Saint Vincent de Paoli, il grande personaggio del cristianesimo francese del 1600, riformatore della Chiesa cattolica, nato in una povertà assoluta, preso prigioniero e ridotto in schiavitù e poi liberato, si dedicò con impegno all’assistenza dei galeotti. Avrebbe molto da fare anche in questi tempi e in sintonia con San Vittore, grande Papa, coevo degli imperatori Commodo e Settimio Severo, che sostenne, la forte moralizzazione del popolo cristiano, la severità dei costumi, l’alta dignità “politica” nei riguardi dell’Impero su cui influì positivamente.
Saint Vincent e San Vittore oggi ci indicano e ricordano ben altro, soprattutto nella triste vicenda politica che stiamo vivendo, e non da oggi, alla ricerca ben difficile del messaggio dei due santi piuttosto che dei luoghi che li ricordano.

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Casini, il Vate della politica – di Gianni Porzi

Penso che non tutti gli italiani si siano resi conto appieno di quanto fortunato sia il nostro Paese ad avere un politico di grande spessore, con idee sempre innovative ed originali, disinteressato, politico di lungo corso che non ha mai smarrito la “diritta via”. A chi mi riferisco? Chiaramente all’On. Casini che è l’immagine vivente della coerenza sia in politica che nel privato, tant’è che da convinto cattolico quale si è sempre dichiarato, ha divorziato e si è risposato, sì, ma imparentandosi con i Caltagirone. Per nostra fortuna, tutti i giorni nei principali TG ci illumina con la sua saggia riflessione (sempre la stessa), con il suo classico “pensierino della sera” che a volte è una sorta di piccolo sermone autoreferenziale e auto celebrativo, non perché sia persona che ami atteggiarsi da Vate, ma perché costretto dalla situazione del Paese. E nei vari talk show o nelle interviste gli fa eco il suo fedele scudiero On. Galletti. Che ne sarebbe dell’Italia se non ci fosse l’On. Casini? Sarebbe una vera iattura non avere il Vate (come pure l’altro Vate Scalfari) che con la sua grande saggezza cerca di illuminarci, di indicarci la via giusta da seguire, ma sfortuna vuole che gli altri non sono all’altezza di cogliere il suo fine pensiero anche se lo ripete quotidianamente perché gli italiani sono un po’ duri a capire. I suoi capelli da grigi sono diventati bianchi, ma la sua convinzione di essere il fine statista incompreso dalla massa è rimasta inalterata. E si sforza a fare da “stella polare”, a prenderci per mano per portarci ………, ma dove? Dove fa comodo a lui, ma sempre per il nostro bene, ovviamente.
Da tempo il suo obiettivo è di fare l’ago della bilancia perché a lui non piace fare la prima donna, è tutto d’un pezzo, non è una banderuola che si butta da una parte e dall’altra con facilità, è un politico coerente che si allea solo con …….., con chi può vincere. Anche perché lui punta da tempo a diventare Presidente della Repubblica e sta facendo di tutto e di più per realizzare questo suo grande sogno. Se riesce a modificare la legge elettorale nel senso da lui voluto, non è da escludere che il colpaccio gli riesca. Prima, il suo ostacolo maggiore era Berlusconi, ma ora, eliminato il Cavaliere (con l’aiuto di Bersani e Napolitano), l’unico che potrebbe sbarrargli la strada è Prodi. Aiuto, aiuto! sarebbe una lotta all’interno delle mura bolognesi, ma non è possibile trovare un altro? Noi italiani abbiamo già dato, abbiamo avuto Scalfaro e poi anche Napolitano, non basta?  

Gianni Porzi

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Lo yesman, chi è costui? E se non ci fosse? di Gianni Porzi

Lo yesman, come noto, è un individuo che dice sempre “sì” nella speranza di ricevere poi dal Principe una gratifica, un riconoscimento, di varia natura, di cui poter godere, ma non sempre ciò si verifica perché esistono anche i Principi ingrati. Gli yesman si annidano ovunque (nella politica, nell’accademia, nella pubblica amministrazione, nelle istituzioni pubbliche e private, ……) e ognuno di noi sicuramente ne conosce almeno uno. A volte vengono definiti pavidi, o addirittura codardi, e forse in parte lo sono anche, ma, a mio avviso, sono per lo più individui che dicono sempre “sì” solo per ricevere in cambio favori. Ritengo la “sindrome dello yesman” genetica, cioè costituzionale, e prescinde quindi dal Principe di turno; lo yesman ha bisogno di un Principe da servire, non può farne a meno perché è l’unico modo che ha per realizzarsi. Non sempre però riceve poi il “premio agognato”, anzi a volte viene abbandonato senza forse neanche un “grazie”. Viene usato e poi gettato (come i fazzolettini Tempo) quasi che appartenesse alla categoria commerciale dell’“usa e getta”. E questo fa veramente molta tristezza, anche perché è vittima di se stesso più che del Principe che, ovviamente, se ne approfitta. A volte mi chiedo cosa passerà nella mente di uno yesman: sarà depresso  perché vorrebbe qualche volta dire di “no”, ma non é capace, oppure sarà contento di aver servito il Principe anche senza aver ricevuto nulla in cambio se non il piacere (e per lui forse l’onore) di essere stato fedele scudiero, servitore senza se e senza ma? Purtroppo, qualunque cosa passi nella sua mente, resterà uno yesman perché il DNA non si modifica. D’altra parte, nei casi in cui il Principe non ha carisma, come potrebbe imporsi se non potesse contare sugli yesman? Tali individui sono quindi funzionali al Principe, tra loro c’è una stretta dipendenza, una sorta di simbiosi.
A parere di alcuni, gli yesman sarebbero anche utili alla società. Infatti, secondo questa scuola di pensiero, se in una qualunque delle svariate riunioni non ci fossero gli yesman, queste sarebbero lunghissime, piene di richieste di spiegazioni per capire a fondo gli argomenti in discussione, perfino anche di contestazioni, e i Principi (siano essi Presidenti, Direttori, Amministratori delegati, etc.……) verrebbero tormentati e messi anche in difficoltà da quei rompiscatole che non sono disposti ad accondiscendere servilmente il Principe di turno. Si può presumere addirittura che, se non ci fossero gli yesman, la maggioranza degli attuali Principi sarebbe costretta a trovarsi un altro lavoro, creando così notevoli problemi socioeconomici. Grazie invece agli yesman ciò non si verifica e le riunioni possono scorrere tranquille, senza stress e anche più veloci perché in totale assenza di contestazioni e/o rilievi di sorta. In definitiva gli yesman fanno anche risparmiare tanto tempo prezioso, che potrà così essere impiegato in modo più proficuo.

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La Sardegna va a carbone: non da sola

Con grande pena e altrettanto disagio ci troviamo ancora di fronte al dramma dell’Alcoa e dei minatori sardi, che manifestano la loro preoccupazione per la mancanza di lavoro. Le aziende hanno costi di produzione eccessivi e i proprietari esteri hanno deciso di chiudere, di non perdere denaro: a determinare la scelta sono soprattutto i costi dell’energia più che non quelli dei lavoratori. Pare anche che da molto tempo l’evento negativo della chiusura risulti prevedibile e previsto e che poco o nulla si sia fatto per avere delle diverse opzioni industriali, per evitare questo ulteriore degrado, come se a pensarci debbano essere solo i poveri minatori, ridotti allo stremo economico, psicologico, e morale. Certo non sono i soli a patire la crisi economica del paese, certo anche loro si sono fidati di governi che dichiaravano la crisi inesistente, di là da venire o addirittura superata. Dal fondo delle miniere non potevano rendersi conto dei ristoranti affollati del nostro paese Si fidavano anche della loro amministrazione regionale, assai spendacciona come tutte le regioni italiane, presa da ben altri dibattiti.
La Sardegna ha espresso una classe politica con delle grandi eccellenze, presidenti della Repubblica, da Segni a Cossiga, autorevoli ministri, politici di alto livello. Basti pensare a Lussu, Gramsci, Berlinguer. Ci si chiede come mai contemporaneamente non abbia saputo esprimere una classe dirigente capace di fare qualcosa di più che non la promozione turistica e tanta burocrazia.
I sardi sono persone serie: lo hanno dimostrato recentemente, abolendo, motu proprio con referendum, alcune province fatte nascere dalla demagogia politica e spendacciona. Si tratta di una scelta che mai avremmo potuto immaginare nella altrettanto autonomistica regione siciliana.
Ci si chiede dunque come mai la Sardegna non ha saputo esprimere una dirigenza locale capace di affrontare i pur gravi problemi della regione. Cui non mancano notevoli risorse, dirigenti e dipendenti e solo 1.700.000 abitanti. Sono certo che dirigenti e dipendenti sono certo di più dei minatori del Sulcis e dell’Alcoa di cui dovrebbero occuparsi. I problemi la Sardegna non sono solo quelli del Sulcis ma constatiamo che non esiste un effettivo e operativo piano di sviluppo dell’isola ma studi puramente teorici e non operativi, capaci di immaginare e promuovere qualcosa di diverso dal solito richiamo al Governo centrale del Paese o alle finanze europee.
Se esiste un’autonomia speciale, essa deve essere gestita dal popolo e dalle forze regionali che lo rappresentano e che devono altresì esprimere una classe dirigente autonoma, capace d’idee, progetti, realizzazioni, contatti: altrimenti a che vale l’autonomia se non a essere un’immensa fonte di spesa e a non risolvere i problemi del proprio territorio e della popolazione? Le responsabilità del governo e del Parlamento sono molte e le regioni sembrano aumentarne il peso e la quantità. Le debolezze del potere centrale sono molte, come si è dimostrato, ad esempio, con la non eliminazione delle province, dando prova che non si è avuto la coerenza e la forza di dare seguito alla loro oggettiva e costosa inutilità. Ma se sono inutili, le province ci si chiede cosa facciano di effettivo le regioni, soprattutto nella sanità, dalla cui nascita datano l’avvio e la crescita irriducibile del drammatico disavanzo della spesa pubblica da esse comunque fortemente determinata.
Pur comprendendo le vicende, drammatiche sul piano umano dei lavoratori sardi non riteniamo sia accettabile il metodo violento, eccessivo, sostanzialmente inutile con cui si sono espressi, guidati da sindacalisti che forse vogliono far dimenticare inerzie del passato. Esse però ci fanno riflettere sul problema della classe dirigente a qualunque livello, di regione, parlamento e governo e non solo nella politica, ma nell’industria, nelle professioni, nella cultura e nella scuola oltre che nell’alta e media burocrazia e così via dicendo. La protesta dei minatori o dei pastori sardi è certo legittima e motivata ma insufficiente senza una dirigenza attenta e di livello e che come tante altre rischia di essere destinate all’estemporaneità e alla dimenticanza.
Bisogna sì protestare, ma efficacemente, con il voto, con l’azione politica continua, con la proposta, con l’impegno, per essere, anziché deboli voci inascoltate, una vera alternativa, capace di produrre classe dirigente, proposte e soluzioni e non solo di guidare, direttamente o indirettamente, manifestazioni di protesta. Ciò ci pare che valga non solo per la Sardegna, ma per tutte le regioni italiane.

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