La stanchezza del Paese

Questo paese è stanco: di inutili parole, di promesse non mantenute, di illusioni e di speranze, di uno spettacolo continuo, un varietà sempre uguale a se stesso, con attori scelti da un capocomico che ne stabilisce le parti e non consente nemmeno variazioni sul tema. Il paese era stanco anche già nel ‘92, quando esplodeva tangentopoli, vista come il simbolo della corruzione e di un sistema che era diventato debole per mancanza di alternativa, di ricambio, di critica. Un sistema compromissorio, con comportamenti simili per il potere e la sua opposizione.

La democrazia è un sistema difficile da gestire, complesso nelle sue forme cui spesso non corrispondono i contenuti. Ed è anche un sistema stancante, che chiede l’impegno, sensibilità, responsabilità, sacrificio. La democrazia nasconde sempre l’illusione di se stessa, di essere al servizio del popolo tutto per il rito elettorale e non, come avviene, per gruppi di potere, piccole e grandi oligarchie, sindacati di interessi. La democrazia può vivere solo se alimentata dal confronto, dal ricambio, dal controllo alternativo. Infatti la mancanza di alternativa o la sua insufficienza rendono sterile il sistema democratico, gli tolgono vitalità e si crea, nei cittadini più attenti prima in molti poi, un senso di impotenza, di inutilità, di essere appunto in un sistema senza scelte, se non giuridicamente certo ideologicamente dittatoriale. È un po’ la situazione che stiamo vivendo, senza una effettiva alternativa politica, come esiste in tutti i paesi occidentali: non perché sia vietata ma perché non riesce ad esistere realmente, pur essendoci nel Parlamento non se ne sente la presenza nel Paese.

Quando manca una seria alternativa, soprattutto in un sistema bipolare, avviene che la stessa si realizza nella stessa formazione di governo, nella sua propria maggioranza. L’esigenza di confronto, di dibattito, di proposta alternativa che non c’è fuori si ripropone pesantemente nel partito di maggioranza ed ancor più quando esso non è democratico, partecipato, con una sua vita interna ma leaderistico o se si vuole carismatico, sostanzialmente monarchico con un uomo solo al comando. Se non c’è Bersani c’è Fini, se non c’è il Partito Democratico ci vuole qualcosa nel Popolo della libertà. Le regole della politica sono legate alle persone, alla società, alla cultura di base di un popolo al quale non troppo lungo si può togliere questa “sovranità” che si illude di avere. Sopravviene la stanchezza, il senso di impotenza, che, se si aggiungono al malessere economico, alle difficoltà del vivere, possono produrre miscele esplosive. Se il benessere in generale porta al distacco dalla vicenda pubblica, a godersi le cose che vanno bene nel privato, a delegare ad altri il pubblico interesse, il malessere economico, che incide sul privato, induce alla forte protesta, crea un disagio che in qualche modo deve esprimersi: con la critica e il disappunto psicologico, con il giudizio pesante, con la protesta sociale, con l’astensionismo elettorale. Se non c’è reale alternativa perché devo votare? Perché dover scegliere tra eguali? La stanchezza della gente è pericolosa, soprattutto se si danno cattivi esempi, se il diritto non è praticato, il delitto non è punito, il potere si gonfia di se stesso in arroganza e conseguente spregiudicatezza. Certo, in larga misura, il potere è l’espressione del popolo, della sua cultura, dei suoi compromessi, delle sue miserie. Ma difficilmente il popolo riconosce i suoi limiti mentre quando è stanco, li vede chiaramente nei governanti. Essi vedranno anche sparire le folle plaudenti, come quelle hitleriane di Berlino, mussoliniane di Piazza Venezia, castriste dell’Avana, e tante altre ancora. Ciò può avvenire anche in tempi di imperio televisivo, di dominio comunicativo perché, qualche voce rimane sempre a rappresentare la coscienza di un popolo e, al momento opportuno e meno prevedibile, a muoverlo contro gli osannati del passato.

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