Il cavaliere azzurro. Storia di una delusione

Sono molti i libri usciti in questi anni su Silvio Berlusconi: quelli di fonte giudiziaria alla Travaglio, o giornalistica alla Gomez, quelli agiografici, più politici ed altro ancora. “Il Cavaliere azzurro” di Gianluigi Margutti si colloca diversamente: non contro e non a favore di Berlusconi, ma soprattutto in una cronaca ed analisi non solo politica ma anche personale, con fatti ben citati, valutando più opinioni con una seria interpretazione. E con una seconda parte, dovuta al lavoro di Emanuele Pigni, rigorosa nella ricerca, fredda nella valutazione dei fatti, solo talvolta portata a contestare interpretazioni ritenute malevole e aprioristiche e quindi con un vago sapore di simpatia berlusconiana.
Pierluigi Margutti è giornalista, un’ottima penna ma anche una lunga esperienza politica sul territorio e oltre. Ha conosciuto da vicino i protagonisti della storia socialista della prima Repubblica con le sue ombre, ma anche con le sue positività.
Il suo racconto è quindi partecipato, si sentono sentimenti caldi come la fiducia, la speranza, l’incredulità, la delusione.
Tutti i politici prima o poi deludono, in tutti emergono i limiti dell’humanitas e gli inevitabili errori, le valutazioni insufficienti pur nelle grandi scelte positive ed utili al paese ed al mondo. Certo più grande è la speranza e più forte la delusione, più alto il consenso maggiore la legittima aspettativa. Così forse è avvenuto per Berlusconi.
Margutti, come per i più attenti osservatori, ebbe i dubbi ab origine, dal primo incontro con il personaggio, dalla “corte aziendale” (poi addirittura assai peggiorata) che lo circondava, dall’anomalo ed ostentato lusso che faceva da sfondo ad un impegno politico che si diceva popolare.
Peraltro dopo le amarezze di tangentopoli, i timori della crisi politica degli anni 90, il buio futuro di un paese decapitato di classe dirigente, anche la più tenue speranza illuminava la via.
In questo libro questi itinerari politici e psicologici sono vissuti e descritti.
La personalizzazione della politica, la mitizzazione mediatica ed organizzativa, la potenza del denaro, facevano convergere la speranza politica degli italiani sulla persona del nuovo capo, del futuro premier.
Anche i più attenti osservatori caddero in questo tranello dell’immaginazione, nella trasformazione dell’oggetto della speranza di una politica diversa e migliore trasformato nella figura fisica di un nuovo leader che quella politica annunciava con enfasi.
C’era la novità del partito liberale di massa, dell’unione tra aree cattoliche e laiche, del post comunismo da evitare, dello Stato da riformare in nome di più concrete libertà non solo enunciate, di una semplificazione del sistema politico, dell’alternativa pulita a tangentopoli, di una scelta popolare che è ben diversa che non quella populista.
Con adeguate citazioni, con precisi riferimenti, questo itinerario si evidenzia nel libro di Margutti, espresso con semplicità, con una serenità talvolta un po’ stupita dai fatti. Qui chiaramente, l’autore esprime la sua delusione: per Berlusconi? Per i suoi governi? Per le realizzazioni mancate?
Mi pare di vedere nelle pagine del “cavaliere azzurro” l’amara delusione per una mancata, non sufficientemente voluta politica, abbandonata per ed in favore della difesa personale, aziendale, del proprio passato e di un contestato presente.
Certo c’è la responsabilità di un’opposizione, oggi ridottasi alla testimonianza verbale, che ha personalizzato le accuse, non ha fornito sufficiente alternativa nei momenti in cui era vincitrice, che ha consentito la sopravvivenza e la crescita leghista e dipietrista, che non ha gestito il suo ruolo così importante in una democrazia.
C’è però tutta la delusione per la grande speranza svanita, quella di una politica di innovazione e di crescita democraticamente espressa, quella di vedere invece la politica rappresentata da una “corte dei miracoli” capace di rovinare l’immagine, già di suo compromessa ma sempre forte, del suo stesso leader.
Ad un certo punto, Margutti scrive: “La forza innovatrice del berlusconismo si è fermata”. Un paese che soffriva perché c’era troppa “politica politicante” si è trovato ben presto a non averne più”. E Margutti, forse con troppo ottimismo, ancora spera in un diverso impegno di Berlusconi.
Non condividiamo questa forse retorica ipotesi, che lo stesso autore ritiene superata dalla necessaria presenza di giovani generazioni e di categorie stanche ed irritate.
Il degrado del paese è avanzato in modo tale che sembra irreversibile e non saranno Berlusconi, Bossi e chi con loro lo ha creato e consentito, dal governo e dall’opposizione, a volerlo e saperlo fermare.
La spinta politica non basta più se non sarà sostenuta da una rivolta morale di quel popolo cui tutti, ma solo verbalmente, si appellano. E solo con altri uomini e donne capaci di interpretarla e rappresentarla.

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