Papa: Una scelta difficile

Il caso del deputato Papa, più che giudiziario sta diventando politico, si inserisce nel contesto dei privilegi della  “casta”: chi voterà no all’arresto sarà un bieco negatore di giustizia, chi si un acclamato dal popolo. Finora l’arresto di un parlamentare è stato considerato un fatto gravissimo e riservato al “delitto di sangue”. È stato considerato una limitazione alla integrità del Parlamento ed alla sua, pur delegata, sovranità.
La norma che tutela i parlamentari, dopo l’abolizione della cosiddetta immunità, porta il Parlamento a dover valutare solo se, nella richiesta del Magistrato, vi sia un fumus persecuzionis, se cioè l’azione penale nasconda una qualche volontà politica avversa. Ma certo questa è una difficile valutazione e talvolta il fumus non appare in modo visibile. Certo il Parlamento – sia esso rappresentato dalla Giunta della Immunità o dall’Aula – non può valutare gli elementi di colpevolezza o innocenza: questo compito spetta ai magistrati giudicanti.
Papa non mi piace proprio. È diventato parlamentare grazie alle pressioni di Bisignani e Verdini, il che è tutto dire, anche sul nostro attuale sistema. Le accuse sono gravi e lo stile di vita altrettanto per un magistrato e per un parlamentare. Probabilmente vi sono gli elementi di colpevolezza che i PM sostengono. Ma non è questo che, per il ruolo di giudizio dei parlamentari, va valutato.
Per la verità non dovrebbe neppure essere espresso un qualunque giudizio spinto dall’onda di una volontà popolare e per aderirvi con vantaggi politici. Chi giudica e deve fare delle scelte non deve avere condizionamenti e ricordare che il popolo è facilmente influenzabile.
Del resto basti ricordare che, in un impeto di scarico delle responsabilità e di condiscendenza “democratica” verso il popolo, allo stesso fu chiesto chi salvare dalla crocifissione tra Barabba e il Cristo. Il popolo fece crocefiggere Gesù.
Nella mia passata esperienza parlamentare ho fatto parte della Giunta per le immunità anche come relatore, ed ho constatato quanto sia difficile perseguire la giustizia, tra maggioranza e opposizione, tra partiti e interessi diversi, tra amicizie e solidarietà anche antiche.
Mi sono chiesto quindi come mi comporterei se fossi ancora in quel ruolo, col dovere morale di far prevalere l’interesse pubblico alla giustizia, anche alla tutela delle istituzioni ed alla eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Il sistema democratico e l’assetto costituzionale prevedono, con Rousseau, la ripartizione tra poteri legislativo, esecutivo e giudiziario ed a quest’ultimo compete il dovere di giudicare secondo conoscenza e coscienza. So bene che la magistratura è fatta di uomini, con le loro debolezze, le fallacie, i limiti morali e personali, le insensibilità. Ma forse che nel Governo e nel Parlamento non ci sono gli stessi problemi? Tutti sono soggetti all’errore, ma per il cittadino comune, non vi sono garanzie preliminari. Per il parlamentare si, anche a tutela dello stesso Parlamento, al quale spetta di giudicare se vi sia o meno la volontà persecutoria. Non conosco gli atti esaminabili in Commissione, ma da quello che si sa, non pare che tale ipotesi sia presente in questa azione penale. In mancanza di tale situazione, pur apprezzando il parere di molti che ritengono non bisogna dare l’arresto preventivo (ma allora per nessuno!), come non bisogna votare per scelta politica e di partito, dopo una riflessione sofferta, sono giunto alla conclusione che voterei si alla richiesta dei PM.
La giustizia ha un costo, chi vìola la legge deve essere giudicato, come tutti i cittadini. Se l’arresto di un parlamentare è un grave vulnus per il parlamento, ancor più grave lesione sarebbe il non rispettare, al proprio interno, le leggi dallo stesso approvate e sancite.

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