Dopo Wikileaks

 

Gli Stati uniti vogliono punire Julien Assange e chiudere Wikileaks. I governanti americani sono arrabbiati e non hanno torto. Tutta la diplomazia americana è stata messa in gravi difficoltà, a nudo nei suoi comportamenti e nelle sue pochezze, nel suo trasformare notizie di stampa o poco più, in rapporti riservati. È vero che siamo solo all’aperitivo delle notizie, che il menù verrà presentato un poco alla volta, ma, almeno per ora, più che il contenuto stupisce lo stupore. Forse le notizie sul mondo finanziario e le banche, per ora annunciate, saranno più succulente.

Per ora però, da tutti questi rapporti, sembra che queste imponenti ambasciate coprano, in sostanza, solo qualche intelligente spione, di quelli giusti, più o meno collegato ai servizi segreti che non manda queste informazioni “classificate”, ma tresca sul serio, non con le escort locali, ma nei grandi affari, nelle tangenti, nei contratti lucrosi, nello spionaggio industriale interno ed internazionale, in quello delle armi.

Gli Stati Uniti (e certo non solo loro) potevano avere le informazioni che abbiamo letto anche solo con la sintesi di una rassegna stampa di ogni Paese, centralizzata a Washington. Gran parte delle informazioni scoperte tramite Wikileaks erano già ben presenti nella opinione comune, nella conoscenza dei più. Ora però hanno acquisito ufficialità; qualcuno, anziché sussurrarlo tra gli amici, lo ha detto ufficialmente. Così il popolo può sdegnarsi, lo stesso popolo che, pur sapendo, non si sdegna più di nulla e da tempo.

Non si tratta quindi delle formule di una nuova bomba segreta ma di elementi parziali di un giudizio che può apparire originale solo per chi lo sente da lontano. Eppure il mondo sembrava tremare, il nostro Ministro degli esteri ha parlato addirittura di terrorismo, di 11 settembre, di cattura dei responsabili del sito: data la nota autonomia del personaggio forse temeva qualche altra news sul Presidente del Consiglio o sulla sua politica estera o qualche ghiotta notizia su Finmeccanica.

Nel mare di parole si è fatta quindi un po’ di confusione: tra segreti di Stato, informazioni classificate, segrete, spionaggio e diritto di stampa e di informazione. È certamente un reato diffondere notizie riservate e di Stato ma certo è stato commesso chi le ha rivelate non da chi le ha pubblicate.

È certamente grave che sistemi di sicurezza che dovrebbero ben garantire la più grande potenza del mondo si rivelino così aggredibili. Così come è grave che la mitica CIA e il poderoso FBI non abbiano sentito preventivamente odore di bruciato sulla sicurezza di notizie diplomatiche. Del resto non lo avevano sentito e capito anche prima dell’attacco alle Due Torri.

Riteniamo però, dopo tanti errori, che il più grossolano sia quello di prendersela con Wikileaks e il suo direttore, che peraltro si è ben cautelato coinvolgendo le più importanti testate giornalistiche del mondo. Naturalmente nessuna è italiana. Aggredire, con la forza dello Stato, il diffusore delle notizie, la stampa in senso lato, cartacea o legata a Internet, rivelerebbe lo stesso atteggiamento avuto dalla Cina con Google, renderebbe Washington simile a Pechino. Sarebbe un costo insostenibile per gli Stati Uniti e per tutto il mondo occidentale che si definisce liberale e democratico.

Che il popolo sappia, che sappia sempre di più. Non cambierà molto ma almeno si convincerà delle debolezze del potere e dei potenti, saprà in quali mani sono la guerra e la pace, il benessere e le miserie dei popoli. Se, come ha detto recentemente Tremonti, la cultura non dà da mangiare, non da pane, la libertà di informazione ci farà almeno conoscere chi sono i fornai.

 

Aventino Frau

 

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