Se non venisse da Berlusconi

Se la legge costituzionale di riforma del sistema giudiziario passata dal Consiglio dei Ministri non provenisse dalla volontà “vendicatrice” di Silvio Berlusconi e se non fosse da lui brandita come strumento di lotta politica, potremmo esaminare quel progetto con qualche sereno ottimismo.
Se non avessimo visto il fallimento della Bicamerale presieduta da D’Alema per il sostanziale e grave veto alla riforma della giustizia della Associazione Magistrati, allora presieduta da Elena Paciotti, poi parlamentare europeo del PDS saremmo più fiduciosi sulla possibilità di successo di questo atto legislativo.
Se non avessimo l’esperienza delle aule di giustizia, del loro assai difficoltoso funzionamento, della preponderanza dei PM sugli avvocati della difesa, della familiarietà fra giudici e PM che contrasta con l’atteggiamento ossequioso degli avvocati con gli uni e gli altri, allora potremmo pensare ad una “cattiveria berlusconiana”, ad una altra delle sue tante “guasconate”.
Ma quei “se” pesano fortemente sul nostro giudizio che è quello di cittadini che uniscono alla forte delusione avuta da Berlusconi, quella di una gestione della giustizia che vorremmo diversa, anche più severa ma più giusta, più portata alla tutela dei diritti del cittadino ed ai suoi obblighi di fronte alla società.
Vogliamo però immaginare, in un sogno purtroppo impossibile, che questa normativa nasca da altri politici, in altro contesto, con altri protagonisti.
La divisione delle carriere, dei ruoli, delle funzioni tra PM e giudici ci apparirebbe assolutamente giusta: per meglio garantire la terzietà dei giudici giudicanti, la parità dei ruoli tra accusa e difesa, forse una maggiore efficacia di quella strana magistratura interna che è il Consiglio Superiore della Magistrautra, una se non minore certo diversa politicizzazione della corporazione dei Magistrati.
La responsabilità civile dei magistrati potremmo vederla come uno strumento serio di autocontrollo dei comportamenti e non come generica affermazione di principio, vanificata e resa quasi un insulto al peraltro tremebondo legislatore ed alla sovrana ma inascoltata volontà referendaria popolare.
Ci pare che l’impianto generale di questa normativa sia sostanzialmente corretto e non a caso corrisponde a quella bozza dell’on.Boato, non certo un destrorso berlusconiano.
Nel confronto – esasperato, eccessivo, inutile – tra magistratura e politica si fa presente, quando si parla dei primi, che ci sono delle pecore nere ma che molto sono bravi, corretti, onesti. Ed è vero. Ma non è vero che tutti i politici ed i parlamentari siano disonesti, incapaci, scorretti. Anche se bisogna riconoscere, grazie al satrapismo dei capi, un drammatico calo di qualità e di valori.
Ci troviamo dunque di fronte ad un provvedimento – discutibile, emendabile, modificabile- sostanzialmente corretto, in linea con le legislazioni dei Paesi dell’occidente sviluppato e civile, che potrebbe effettivamente – a regime – essere utile al Paese. E dare anche alla Magistratura quel maggior prestigio che nasce dall’assoluta stima dei cittadini, motivata da comportamenti virtuosi, nel quadro di regole e di responsabilità, valide per tutti come devono esserlo anche fra cittadini e ministri e capi di governo.
Noi siamo assolutamente convinti della necessità che ci sia “un giudice a Berlino” e riteniamo incivile un paese senza una giustizia certa, neutrale, attiva. Per questo pur dando un giudizio non prevenuto, non possiamo evitare di chiederci perché si è perso tanto tempo, perché ci si è trastullati con inutili leggi ad personam, perché si è lasciata peggiorare la situazione. Meglio tardi che mai. Ma dovrebbero riflettere su questo anche le opposizioni. Nel loro stesso interesse.

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