Quos Deus vult perdere, dementat

Le elezioni si avvicinano, come data, ma sembrano molto lontane nelle azioni e nei comportamenti. Hanno effetto di deterrenza sui protagonisti, su quelli che ritengono di parteciparvi più con paura che con gioia e speranza, sanno che, sui partiti e i loro uomini, anche con cattiva generalizzazione, sta tornando l’antico detto, un tempo rivolto altrove, “il più pulito ha la rogna”, e, questo drammatico e forse ingiusto giudizio, rende ancor più forte il timore della scadenza, che tutti dichiarano di volere (fermare la “sospensione” della democrazia)! Ben sapendo che, il Paese non vede in questo Parlamento, in questa troppo sperimentata classe politica “da ventennio”, alcun segno di vissuta democrazia. Questa paura delle elezioni è un sintomo grave di colpa, di ritardata consapevolezza, di responsabilità rifiutata; si verifica dunque una confusione e una totale incapacità di decidere. Anche nel proprio interesse.
Un antichissimo detto, pare di origine greca, ma poi tradotto in latino afferma “Quos Deus vult perdere, dementat” (a coloro che Dio vuole colpire, perdere, toglie il senno). È stato usato da qualche scrittore quando Berlusconi sembrava, con atteggiamenti personali e teoricamente privati, aver perso la testa. Oggi mi pare idonea a tutta la classe politica, divisa in tutto, salvo votare, per fortuna, i decreti di Monti, criticandoli subito dopo.
La visione di presunti interessi elettorali, tutti da verificare, porta i “leaders” politici a discutere di tutto e realizzare niente.
Non vediamo prospettive sulla conclamata legge elettorale e ci aspettiamo, con poche modifiche, una riedizione corretta, ma assai poco, del “porcellum”; non vediamo una forte e severa legge anticorruzione (da limare per salvare gli amici pregiudicati); non si parla di riduzione dei parlamentari e di riforma del sistema, si è fermata l’abolizione delle province, e potremmo andare molto, molto avanti.
Così non resta che “subire” con rassegnazione la visione di una Italia “legittimamente” corrotta, attenta a presunte esigenze politiche dei potenti e disinteressata alla sofferenza dei poveri e dei deboli. In mano alle decisioni di pochissimi potenti che abusano del denaro e del potere di tutti cittadini; che governano nella logica dei propri privati interessi, che si fanno leggi e leggine ad personam, ad categoriam, ad mentum. Sembrano sostenere che il Paese possa permettersi questo e altro.
La politica, quella alta, onesta, al servizio del popolo sembra non esserci più, e forse abbiamo abituato il popolo a non sentirne la mancanza, a non pretendere una classe dirigente onesta, responsabile; a sopportare condannati e condannandi nelle cariche dello Stato, nei partiti, a decidere, aumentando, con la defezione tranquilla della moralità, la già grave crisi politica ed economica del Paese.
Stiamo giocandoci la democrazia, la fiducia nel diritto, nella giustizia, la classe dirigente come riferimento di rappresentanza, di onestà sostanziale e non formale, i partiti come strumenti di partecipazione politica. Ci stiamo giocando il Paese, il ruolo di controllo delle istituzioni, della stessa magistratura anche quella contabile e amministrativa.
Quasi vent’anni fa abbiamo creduto nella rivoluzione berlusconiana, ci siamo impegnati, pur con i limiti di ognuno, per costruire quel Paese nuovo che ci era stato proposto con entusiasmo e fantasia. Gran parte di Italia ci ha creduto e lo abbiamo sostenuto, partecipato, vissuto. Dopo quasi venti anni è crollato un po’ tutto, ed in più abbiamo una situazione economica e finanziaria di origine internazionale che però abbiamo sottovalutato per lungo tempo. Di fronte a quanto avviene, non sappiamo se sia più grave la crisi economica o quella morale e politica, o se sia una crisi sola, di Paese, che tutto coinvolge in una frana dove poco si salva.
Nonostante il governo Monti – sussulto di dignità di un Paese e merito di Napolitano – il Paese dà gravi segni di abbattimento. Sembra che l’unico esempio di dignità e di coraggio venga dalle zone terremotate, dalla gente comune, da imprenditori seri, da amministratori corretti, impegnati – nella disgrazia- vicini al loro popolo. Non ci sono come avveniva un tempo, uomini di partito a dare solidarietà. Forse sentono la vergogna e temono il biasismo silenzioso. C’è quasi paura a dire “andiamo alle elezioni” perché saranno anch’esse frutto di questa classe dirigente, delle transazioni “commerciali” tra Berlusconi e Bersani, sulla legge elettorale. Gli italiani si stanno dimostrando tolleranti pazienti. Ma vanno temuti. Un detto inglese ricorda “Fear the wrath of the pacific”. (Temi l’ira del pacifico). Può esplodere più dura, feroce e motivata, e gli italiani, quando esplodono, possono essere almeno come i francesi della rivoluzione. Anche se i tempi sono mutati.

4 Responses to "Quos Deus vult perdere, dementat"

  • Gianni Porzi says:
  • Fabrizio says:
  • Roberto Cannas says:
  • Fabrizio Paganella says:
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