Le sedie vuote della Lega

La lega, almeno attraverso i suoi dirigenti, non ama l’Italia. Preferisce averne solo un pezzo, magari il più grasso, definirlo a modo suo come Padania, dargli l’orgoglio della discriminazione, l’impulso della demagogia, il dispregio per la cultura della conoscenza ed il valore di una sana ignoranza operativa e produttiva. Per la lega la storia ha un valore scarso e vale solo come rivendicazione: i celti, il dio Po, le ampolle, un Alberto da Giussano modificato ad libitum e così via. In sostanza uno staterello tipo Svizzera, abile nel far cioccolata, orologi, caramelle, nel contrabbando e nel riciclaggio di valuta, nella protezione dell’evasione fiscale degli altri. Che però fornisce le guardie al Papa.  Però bello, ricco, pieno di danè, di schei perché chi no gà i schei l’e nisun: è nessuno. Chi ama l’Italia è meno felice dei leghisti, si inferocisce per il malgoverno del sud, gli sprechi, mafia e camorra, apprezza l’idea di una forte responsabilità amministrativa e politica decentrata e sanzionata, soffre l’esistenza di tante differenze. Ma non si indigna se la si parlano (in genere assieme all’italiano), dialetti diversi dal lumbard o addirittura da quelli tedeschi della Alto Adige.  A differenza del leghista ricorda le centinaia di migliaia di sudisti venuti a combattere, poveri contadini, per riportare all’Italia un Trentino oggi ricco e soddisfatto più di soldi che di autonomie e comprensione nazionale. Ne ricorda il migliaio di nordici che partirono con Garibaldi per conquistare ed aggregare una ignara Sicilia.
Il leghista non ama riflettere che, in un’economia globale, complessa, le piccole realtà spariscono e muoiono, che la dimensione degli Stati è importante e nonostante ciò è pur insufficiente se non si unificano nell’unione, nei grandi Stati federali come gli Stati Uniti d’America.
Le sedie virtualmente vuote durante la celebrazione della festa della Repubblica, erano in realtà occupate da tutto ciò, dall’arroganza dell’incultura che non è data dai titoli di laurea.
Le sedie vuote di quella manifestazione sono il segnale preoccupante di un degrado e di un pericolo: l’abbandono di un’idea di Stato unitario forte pur nella valorizzazione delle sue particolarità, capace di dialogare con altri Stati forti, orgoglioso della sua storia ma anche fiducioso nel suo futuro. Uno Stato che, senza abbandonare valori, cultura, capacità innovativa, avrà anche i famosi schei, con grande soddisfazione dei leghisti, ma soprattutto utili per una società più equa e più giusta.

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