Dic
24
Le condizioni della politica
Guardando al dibattito politico attuale si resta colpiti nel constatare il vizio intellettuale di rincorrere problematiche ormai più che antiche vecchie, sulle ideologie, su particolari opzioni etiche, personali più che sociali. Sono dibattiti culturalmente legittimi ed anche utili ma poco incidono sulla situazione politica attuale che è quella di cittadini stanchi, incerti, preoccupati. Vanno dunque fatte alcune riflessioni da parte di chi pensa di fare politica, sulla base dell’atteggiamento della gente, del successo o insuccesso di certi messaggi, della diffidenza verso sedicenti leadership, della crescita di forme di violenza intellettuale prima ancora che fisica. Non è possibile fare una politica, se non buona almeno decente, senza tener conto del destinatario e protagonista della stessa, dell’urgenza dei suoi problemi che chiedono risposte effettive, della necessità di vivere con speranze e prospettive, pur nella difficoltà di ogni futuro. Ci sono elementi che caratterizzano un po’ tutte le fasi politiche, ne determinano gli sviluppi, creano il disagio o le positività sociali, talvolta la rivolta e in passato anche le rivoluzioni. Nella storia le rivoluzioni sono state sempre determinate da uno stato di povertà economica estrema, di disagio sociale insuperabile. Non siamo certo in quelle condizioni ma c’è nella nostra gente disagio, disapprovazione, rifiuto. Ciò avviene per la situazione economica troppo a lungo dissimulata, sottovalutata con ottimistici confronti, basata legittimamente sul possibile controllo della spesa pubblica ma senza selezione del risparmio e quindi senza una ragionevole e spiegabile linea di comportamento. Di fronte alle esigenze di contenimento e di tagli,un governo impegnato avrebbe dovuto fare scelte motivate, tagli ma anche opzioni positive, leggi spiegabili e spiegate cercando la condivisione se non delle scelte almeno delle ragioni, in un quadro di qualche praticata collaborazione. La stanchezza del paese, anche di chi ha votato per il centro destra, si è diffusa, divenendo un problema psicologico di massa, frenato solo da una mancanza di alternativa di governo. Non si può però reggere a lungo senza una alternativa, senza dare risposta alla esigenza di cambiamento, senza sopperire alla delusione con nuove speranze. Nelle menti più colpite dai problemi, l’alternativa, falsa ma apparente, diventa la piazza, la prova di forza, il possibile prodotto dell’estremismo qualunque esso sia. È una rivolta della stanchezza, il rifiuto di una strana forma politica di claustrofobia. Essa poi cerca forme di motivazione culturale, cerca le sue ragioni e le trova nei limiti delle specificità, nella scuola, nella riforma universitaria, nella crisi aziendale o territoriale o nella politica dell’occupazione, nella falsa promessa della temporaneità della cassa integrazione, nella differenza di comportamento rispetto a categorie e persone diverse. È così che si forma la rabbia sociale, come base diffusa di dissenso, come condizione di comportamenti errati ma ineluttabili; la rabbia come elemento comune che diventa quasi partecipazione ideologica. Quella rabbia è la raccolta, sempre meno differenziata, di sentimenti, giudizi, valutazioni e delusioni, che si formano e si sommano in ognuno ed in larga parte della società. Essa è anche il frutto di una memoria cumulativa, meno analitica ma fortemente sintetica: passa dai comportamenti personali del leader politico, dalle escort agli sprechi e ai festini, dalle leggerezze delle dichiarazioni agli interventi per presunte autorevoli nipotine, dalla nomina di consiglieri regionali, di parlamentari e ministri per virtù non propriamente politiche, all’utilizzo ed all’imposizione di dirigenti con fedeltà pari al servilismo, onestà pari alla capacità di spregiudicatezza, trasparenza a prova di procure della Repubblica. La rabbia nasce dal rinnovarsi inutile di promesse già non mantenute, di riforme proclamate quanto inattuate, di una filosofia del disvalore come regola. La rabbia dunque si unisce, in una mistura psicologica e politica, alla stanchezza, alla sfiducia, alla delusione e soprattutto all’offuscamento della speranza, alla vitalità della prospettiva. In questa sempre più dura fatica del vivere, in una lontananza dal buono e dal giusto, nella mancanza di coraggio nell’affrontare la vera politica, sta la base di una crisi che sembra senza soluzione, che non vede i leader possibili né tra i vecchi né tra i nuovi, che non ha più la pazienza di lavorare con i tempi di ogni costruzione, per un futuro più ragionevole. Oggi la politica deve saper lavorare in questo contesto, che peraltro la rifiuta e la rivendica al tempo stesso. Quando finiremo i nostri risparmi oltre che economici soprattutto psicologici, tra il disagio e la rabbia prevarrà quest’ultima e da essa non può nascere né una politica né un realistico progetto. Si rivolgerà contro tutti, più o meno responsabili, ed in danno di tutti, soprattutto i più deboli. Dopo vent’anni di inutili speranze.
Aventino Frau