Feb
14
Se non ora, quando?
La manifestazione femminile (e certo non femminista), “Se non ora, quando?” ha certamente molte e valide ragioni per cui è stata fatta. Come spesso avviene nella sempre difficile politica italiana è stata però tardiva, personalizzata, anche se, non del tutto volutamente, politicizzata. Essa si è concretizzata dopo le vicende, per altro gravi, legate al ormai noto bunga, bunga berlusconiano e tende a condannare il degrado del ruolo femminile e il suo “uso improprio” dimenticando che esso non è nato ieri e che quindi tali manifestazioni avrebbero dovuto o potuto avere, per data di nascita, almeno qualche anno prima nella ormai lunga vita politica di Berlusconi e/o del berlusconismo. La scelta di data, tardiva rispetto al fenomeno, anticipato peraltro dal velinismo ormai noto da tempo, l’ha resa ancor più personalizzata in termini anti-berlusconiani e di conseguenza politicizzata in senso anti PDL. Ne risulta che di fronte a problemi veri, quello del ruolo della donna, del suo svilimento culturale, quasi antropologico; del suo strumentalismo e del suo sfruttamento ed anche del suo utilizzo da parte delle stesse, pur minoritarie ma intraprendenti esponenti del mondo femminile, gratificate da denaro, benefits quando non addirittura da cariche pubbliche. Alle varie e profonde divisioni del Paese, quelle storiche, se ne aggiunge dunque un’altra, sulla questione femminile, che rende ancor più difficile qualunque tentativo di dare al Paese una svolta positiva, di superare la grande empasse di sviluppo e di crescita che ci caratterizza. Il Paese è profondamente diviso, sembra consapevole dei gravi limiti del Berlusconismo e del suo stesso leader ma anche dell’attuale mancanza di alternativa credibile. E’ consapevole del potere eccessivo della magistratura inquirente, che nel caso di Berlusconi appare addirittura persecutoria (ma non solo per lui) ma è altrettanto convinto che egli stesso ha dato motivo di intervento e che la sua azione sarebbe dovuta essere diversa, meno conflittuale e più efficace. Anche su questo il Paese è diviso. Questo nostro Paese è consapevole del grande conflitto di interessi presente nel suo governo ma si chiede perché la Sinistra -quando è stata al governo con Prodi- nulla ha fatto per superarlo. Sa bene che l’attuale sistema elettorale è -a dir poco-indecente; ma sa anche che è stato utilizzato da tutti i partiti -nei loro vertici- per farsi un Parlamento docile verso i capi, disinteressato agli elettori e quindi al paese reale; prono alla volontà di pochi potenti. Conosce il peso gravissimo, morale ma anche economico, della corruzione, ma sembra rassegnato alla sua esistenza, quasi una appendice al potere legale ed istituzionale. Tra rassegnazioni e divisioni viviamo la realtà di un gravissimo debito pubblico, di una crisi economica che non basta sottovalutare, di una esigenza di ripresa che affrontiamo comunque sempre tardivamente, almeno di fronte al resto d’Europa. Certo l’Italia non è l’Egitto e non sono i movimenti di piazza, peraltro pacifici, a sconvolgere il potere. Porsi però il problema del dopo Berlusconi, che comunque dovrà avvenire, fa parte di una normale azione politica. Il Paese vivrà comunque la crisi finale del berlusconismo “diretto” del Presidente con non poche difficoltà: per il riassestamento inevitabile del PDL, nel suo elettorato e nella sua dirigenza partitica; per il particolare e più autonomo ruolo della Lega che in futuro dovrà fare comunque i conti con l’età e della salute di Bossi e le già avvertibili divergenze dei suoi colonnelli; per la esistenza nel centro destra di altre realtà come il polo di Casini, Fini, Rutelli, Montezemolo. Anche la sinistra dovrà fare i conti con se stessa, con un elettorato non più unito dal solo anti-berlusconismo, con la sua dirigenza posta di fronte ai problemi reali del Paese. Non ci saranno percorsi facili, per nessuno. E, molti lo sperano, ci saranno le novità -a destra come a sinistra- di personaggi nuovi, non compromessi con il passato politico ingombrante di questo ventennio. La transizione tra prima e la seconda Repubblica non è stata indolore e ne vediamo i limiti e le incongruenze. Quella verso la terza Repubblica non sarà meno faticosa e indolore, anche per la sempre maggiore carenza di classe dirigente all’altezza della situazione, dato che il tempo passa per tutti, implacabile ma giusto. Ecco perché, al di là ed oltre le pur legittime manifestazioni, oltre le critiche e le sconfessioni, bisogna saper prevedere ed accettare una transizione complessa e certo compromissoria, con una forte capacità di mediazione, in uno spirito europeo, con la capacità dimostrata dai tedeschi nel superare -per un certo periodo di tempo- anche antiche divisioni. Per ridar al Paese una capacità di dialogo politico interno, un progetto costituzionale condiviso, una legge elettorale corretta, alcune riforme da tutti ritenute indispensabili. Per poi tornare alla normale dialettica politica, alla rappresentanza dei propri blocchi sociali, al concorso per la guida del Paese che caratterizzi pur sempre ogni corretta democrazia, che vive nell’alternanza determinata dal reciproco riconoscimento, dal dovere di servire il Paese nella sua totalità, nella sua unità, nell’inderogabile superiore interesse comune.