Tra cene e pranzi

Il pranzo di lavoro a Palazzo Chigi tra il presidente Monti, Alfano, Bersani e Casini (l’ABC della politica) solleva le domande dei cacciatori d’informazioni riservate sugli argomenti da trattare. La risposta è semplice: i commensali parleranno della crisi finanziaria generale e già ce n’è abbastanza.
Ma questa è anche la prosecuzione di una tradizione, un segno di “continuità” col governo precedente, con qualche differenza di metodo e di stile.
Il governo Berlusconi doveva, sempre, la sua sopravvivenza alla Lega, il più irrequieto ma anche permanente alleato, che andava coccolato, interpellato, convinto: erano le cene del lunedì ad Arcore, tra Berlusconi e Bossi, diventate un rituale, una scadenza “istituzionale”, una permanente verifica che indispettiva Casini, Fini e parecchi altri. Era un modo per garantire l’appoggio al governo.
Contrariamente alle apparenze, anche il governo Monti è appeso alla sua maggioranza, e il Presidente dovrebbe fare, secondo la tradizione, tre cene la settimana ma, come per Bossi vi era l’eterno problema delle esigenze della Lega, così per ABC c’è quello di una grave crisi, quella finanziaria cui deve provvedere il Governo, e quella politica, assai temuta da loro stessi. La cena sostituisce altre più complesse procedure e riunisce persone altrimenti separate.
Ma gli ospiti di oggi sono più deboli che non Bossi in passato, mancano di credibilità da parte di un popolo che li considera una casta del malgoverno non in grado di riformare il paese perché incapaci di riformare se stessi. Il padrone di casa è più credibile ma deve stare attento, avere coraggio nel fare quanto si deve e in fretta.
La situazione è pesante. La politica è necessaria come pure una presenza forte in Europa. Il ruolo tecnico e che esige l’aiuto di quello politico e Monti lo sa bene. Il pranzo a Palazzo Chigi è solo una riunione di conferma, di maggiore unità tra debolezze diverse che hanno bisogno le una delle altre. Ma senza qualcosa di più è assai improbabile che diventino una forza.

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