Gen
12
Una terza guerra mondiale
La provocazione inviatami dall’amico Antonio Consolati, segretario UGL di Verona, dice “… i tedeschi hanno perso sia la prima che la seconda guerra mondiale e certamente credo fossero ben convinti di vincere ambedue i conflitti… ora stiamo combattendo la terza guerra mondiale, al momento solo economica… vinceranno? O non c’è due senza tre. Ti ho lanciato, spero,una bella provocazione.“
Il riferimento alle guerre è certamente intrigante e lo raccolgo, anche se, francamente, non vedo né un Obama simile a Roosevelt, né la Merkel epigona di Hitler. Ma la provocazione rimane valida anche perché fa riflettere invero più che sulla forza dei paesi alla fine vincitori, sulla loro iniziale debolezza politica. Per smuovere dall’isolazionismo gli Stati Uniti ci volle l’incursione giapponese di Pearl Harbour, per convincere Hitler a invadere la Polonia ci fu la debolezza espressa da Gran Bretagna, Francia e Italia nel trattato di Monaco.
Oggi la guerra è tra la finanza della globalizzazione, immensa e speculativa, e la debolezza degli Stati, delle stesse democrazie, incapaci di controllarla, normarla o punirla. Possiamo certo paragonarla, ipoteticamente, ad una terza guerra mondiale. Ma per noi è, per ora, prevalentemente europea e, come in passato, con un’Europa sostanzialmente divisa e con forti tentazioni dirigistiche da parte della Germania (certo più virtuosa nei comportamenti interni) e di una Francia che finge di essere ancora quella dell’antica grandeur.
L’Italia, ahimè, aggiungeva alle proprie strutturali debolezze un governo ancor più debole dello stesso paese, commentato nel mondo con le ironie che suscitava e quindi poco credibile. Stiamo recuperando molto sulla facciata, ma anche il Paese ha dimostrato di non essere la Grecia (povera, grande, antica Grecia, madre della nostra cultura!) ma nemmeno di essere un paese che possa risolvere facilmente alcuni problemi strutturali e di costume.
Ma è l’Europa tutta ad essere in crisi: ha bisogno di unità e non di sudditanze, di grande politica e di grandi politici e, con tutto il rispetto per la signora Merkel, non la vediamo paragonabile agli Adenauer ed ai Kohl. E non parliamo, per buona educazione, di Sarkozy. Essi appaiono ora, che non c’è più l’alibi di Berlusconi, in una dimensione assai più ridimensionata.
I nostri paesi sono comunque deboli, pur nella loro dimensione economica e industriale, e non dimostrano di avere sufficiente forza politica. Sempre nella similitudine bellica è opportuno ricordare che, dopo l’attacco subito dai giapponesi, gli Stati Uniti realizzarono un immenso sforzo industriale, a fini bellici ma non solo, e che arrivarono in Europa e nell’oriente nipponico, fortissimi in armamenti, in riserve, in tecnologie, in uomini preparati. Noi abbiamo sprecato anni ed occasioni per costruire un’Europa più forte così ora, con essa. I singoli paesi europei sono, pur nel trattato di questa nostra Europa, politicamente ed economicamente deboli. Soprattutto politicamente. Per mancanza di volontà e di coraggio, soprattutto per scarsissimo europeismo. Ci è andata bene la falsa e costosa Europa dei tecnocrati che impongono il calibro delle banane, non quella della politica comune, della vera moneta unica basata su comuni scelte e comportamenti di politica economica, degli standard europei e delle regole da rispettare nel nostro stesso interesse. E non basta dire che ognuno è fatto a modo suo, altrimenti il livello prevalente diventa quello dei casalesi. E ogni Paese ha i suoi.
Certo i nazionalismi non sono facili da debellare ed anzi tendano a riemergere ogni volta che la buona politica scende di tono. Ai tempi di De Gasperi e Adenauer la Francia fece fallire il progetto della Comunità Europea di Difesa, come ora la Gran Bretagna non vuole la politica monetaria europea; ma vuole deciderla senza parteciparvi, giocando senza rischi, con la sua sterlina, ben sapendo che può entrare quando vuole.
La terza “guerra”, quella economica, va analizzata in concreto attraverso i suoi protagonisti e per quanto riguarda la provocazione di Consolati, in queste condizioni, e senza una grande politica, diventa impossibile sperare di vincere.
Ma a prescindere dai tedeschi e dalla signora Merkel.
Il mondo occidentale (ma anche quello in condizioni economiche o politiche diverse) deve riflettere e decidere una seria politica capace, come una guerra, di strategia. Non esistono grandi atti politici che non provocano altrettanto gravi conseguenze. Il trattato di pace di Versailles, dopo la prima guerra mondiale, creò le basi per le grandi crisi economiche germaniche, la fine della democrazia a Weimar e Vienna, la successiva nascita del nazismo, proclamato, non dimentichiamolo, dal voto dei tedeschi. Come il fascismo da quello degli italiani.
Nella storia nulla si ripete pedissequamente, ma senza la conoscenza del passato si ripetono gli stessi errori.
La guerra tra finanza e democrazia non porterà a un vincitore solo ma alla sconfitta di tutto il sistema e alla lunga a forme di autoritarismo, che si riterranno indispensabili, per i grandi turbamenti sociali e quindi accettate dalla massa. Una classe dirigente (che non vediamo se non sul piano “tecnico”) dovrebbe affrontare questo difficile futuro, lontana dall’impiccio di interessi particolari e corporativi, di elezioni imminenti, dello stesso periodo di durata della propria vita. Alcide De Gasperi diceva che un politico non deve lavorare se non i prossimi venti trent’anni, oggi, con questi problemi mondiali, dovrebbe lavorare, pensare, decidere nell’ottica dell’ intero secolo.