Dalla porcilaia ad un decoroso canile

La proposta di un sistema elettorale basato sul collegio uninominale a doppio turno (che fu oggetto di un mio disegno di legge del 10 febbraio 2004 atto Senato 2744 ) e ora su collegi più grandi e in minor numero, è in grado di riavvicinare i cittadini alle istituzioni politiche. Ma certo non accontenta i partiti, sempre ingordi, che vorrebbero le leggi elettorali fatte su misura per la loro realtà e che, purtroppo, non possono essere ignorati. Ci sono le esigenze dei più piccoli (per esempio Io sud, meno dell’1%) e di quelli più grandi (Partito Democratico e Partito delle libertà), dei medi (Terzo polo intorno al 15% nelle previsioni), di quelli regionali (Lega Nord all’’8, 9%, il siciliano Movimento per l’autonomia) e da altri ancora.
Se la democrazia deve garantire la rappresentanza popolare, deve però assicurare anche la governabilità del Paese. Non si può tornare all’epoca di una crisi di governo all’anno e della conflittualità ricattatoria dei piccoli partiti o all’immobilismo decisionale causato dal veto dei minori o, al contrario, dall’immensa spesa pubblica sostenuta per accontentare ogni minima esigenza sindacale e quindi politica che ha causato larga parte del nostro immenso debito pubblico. Inoltre la debolezza del sistema, la fragilità dei partiti (troppi e diversi) causa, come ha già causato, l’eccesso di potere e di sindacati (da Cgil a Confindustria) e da lobbies varie. A spese di tutta la collettività, soprattutto quella che le imposte le paga tutte. Nella prossima riforma, se e quando ci sarà, la legge elettorale dovrà dunque prevedere, per i partiti piccoli un legittimo diritto di tribuna, un numero esiguo di parlamentari per far sentire la propria voce, per i più grandi, in particolare per il vincitore, un ragionevole premio di maggioranza che gli consenta di governare ma non, come ora, di stravincere solo per merito del premio acquisito.
Il premio di maggioranza, con funzione aggregante, può essere dato anche alla coalizione che si presenta unita.  De Gasperi lo aveva previsto niente meno che per le elezioni del 1953 ma la sinistra di allora (Pci e Psi) la definì “legge truffa” e riuscì a farla fallire. Esempio di lungimiranza politica di una sinistra arcaica, anche se motivata dalla congiuntura politica interna e internazionale di quegli anni.
Comunque si dovrà prevedere una norma di sicurezza contro il proliferare dei gruppi parlamentari e prevedere, solo in caso di uscita di uno di essi, la possibilità di aderire solo ed esclusivamente al gruppo misto, per non favorire la corsa ai finanziamenti che comunque dovrebbero essere riconsiderati e ben controllati da entità terze. Siamo arrivati allo scandalo che nelle Regioni, non in tutte forse, certamente Veneto, Lombardia e altre, un singolo consigliere può costituire un suo gruppo, con relativi benefit e finanziamenti. E in Veneto, di questi gruppi, ce ne sono ben quattro.
Si tratta dunque di un sistema maggioritario molto addolcito, rispettoso di tutti, ma che garantisce la governabilità del Paese, come, pur in vari modi, avviene in tutta Europa, sventando un parlamentarismo litigioso e deleterio.
Molti altri accorgimenti possono essere proposti ma non bisogna fare una legge troppo complessa, che servirebbe a confondere gli elettori e a consentire i trucchi dei “tecnici” dei partiti.
Con questa normativa si può garantire anche il bipolarismo e cioè la scelta politica vera del cittadino non tra decine ma tra due ipotesi politiche alternative, non sul piano ideologico ma su quello programmatico, con reciproco riconoscimento di pari dignità politica, come avviene nei paesi veramente democratici. Un bipolarismo che non sia bipartitismo (che è in crisi addirittura in Gran Bretagna) e al quale la nostra cultura, la nostra storia non ci hanno ancora preparati.
Un’altra considerazione, che non appartiene strettamente alla legge elettorale ma, che mi pare importante e a tutela della maggiore libertà e autonomia politica del Parlamento, è quella, su cui riflettere e possibilmente decidere, dell’incompatibilità tra il ruolo di parlamentare e quello di ministro e sottosegretario. Il governo ha i suoi compiti e il Parlamento i suoi, essendo strumento costituzionale di controllo, con il dovere di critica, di ispezione, di consenso e di dissenso, ma non di amministrazione. È un ruolo profondamente diverso e non deve rappresentare, come avviene, l’agone dove parlamentari si scannano e si pongono servilmente all’ombra dei capi per andare… a far parte del governo, restando pur sempre parlamentari con i relativi privilegi. Ci sono stati dei deboli tentativi, già ai tempi della DC, per stabilire questa incompatibilità: ma tutti fatti fallire, anche perché normati solo all’interno del partito stesso.
Con questa norma il Parlamento sarebbe certamente meno dotato di scandali, di autorizzazioni a procedere, di divieti all’arresto e quant’altro sappiamo. I ministri risponderebbero pienamente al tribunale per i reati ministeriali e, come singoli cittadini, ai tribunali ordinari, senza le garanzie parlamentari. Al Parlamento devono tornare, con garanzie e obblighi ben precisi, i grandi dibattiti politici, le direttrici e le prospettive del paese tutto, le grandi leggi, il controllo degli atti di governo in piena autonomia, come avviene in molti paesi che non immaginano nemmeno questa promiscuità tra i ruoli di parlamentare e di governo, di controllore e controllato.
Se un parlamentare vuole andare al governo, si dimetta dalla Camera o dal Senato. Nel quadro di queste riforme il Senato, ridotto di numero (100 massimo 150 membri) dovrebbe avere competenze legislative diverse e proprie e occuparsi delle autonomie locali di comuni e regioni, se si riuscirà, come tutti dicono di volere, ad abolire le inutili e costose provincie.
Altre cose si possono aggiungere, ma queste già darebbero una svolta per far passare il nostro Paese dalla porcilaia (da porcellum) ad un decoroso canile. Per giungere ad un bel campo da equitazione ci vorrà un’altra classe dirigente, dotata di autonomia individuale, di senso dello Stato, di cultura politica, di preparazione, di maggiore moralità pubblica.
Anni fa al generale Colin Powell, poi divenuto Segretario di Stato degli USA, rimproverarono la perdita di un costosissimo aereo, un Awack, ed egli rispose che era ben più grave la perdita di un aviatore, perché, disse, “per fare un aereo ci vogliono alcuni mesi, per un aviatore non meno vent’anni”. Riflettiamo se, magari con numeri più alti, la riflessione non valga anche per fare un uomo politico.

2 Responses to "Dalla porcilaia ad un decoroso canile"

  • Gianni says:
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