Feb
23
Il potere dei sindacati
Di fronte agli ancora assai gravi problemi del Paese, con l’ombra di Grecia e Portogallo che ci fanno riflettere sui rischi che corre la nostra non più forte economia, ci si scontra sull’articolo 18, cioè sulla “giusta causa” del licenziamento di un dipendente. Come se fosse la vera ragione del contendere, se fosse essenziale e preclusivo di chissà quale sviluppo. Gli interlocutori, governo, parlamento, sindacati e partiti sanno bene di che si tratta e quale sia il senso di questa battaglia che ci ricorda la differenza esistente, nelle battaglie vere di un tempo, tra lo strappare la bandiera al nemico e il vincere la guerra.
L’articolo 18 dello statuto dei lavoratori è nato per tutelare soprattutto il loro diritto alla giustizia, a non essere licenziati perché sindacalisti scomodi o politicamente impegnati o troppo… disimpegnati nel lavoro. La norma è dunque giusta anche se prevede la reintegrazione nel posto di lavoro, cosa non esistente in alcuna normativa europea che prevede altra forma di risarcimento e di tutela. Applicata al diritto di famiglia, sarebbe come prevedere, in caso di separazione tra coniugi per colpa, di obbligare il coniuge accusato a ricongiungersi con l’altro accusatore, come prima dei fatti. Non trattandosi di coniugi le conseguenze sono meno gravi ma sappiamo che, soprattutto nelle aziende medie, superiori ai 15 dipendenti, può essere un elemento di disturbo anche se non il più grave.
Ciò è avvenuto perché, nella pratica concreta e diffusa, i sindacati ne hanno abusato, sostenendo anche lavoratori non proprio esemplari e soprattutto per l’atteggiamento dei magistrati del lavoro, tra tutti i loro colleghi i più comprensivi, tolleranti, incapaci di dare torto ai dipendenti, anche in casi palesemente gravi. Non è una novità per nessuno e la responsabilità prevalente, se non esclusiva, è proprio dei magistrati che hanno tolto alla norma larghissima parte della sua credibilità. Sembra, e riteniamo sia così, che il comportamento della magistratura sia causa primaria della disaffezione e dalla fuga degli investimenti stranieri dall’Italia ma certo non solo per l’articolo 18 bensì per i suoi tempi in generale, per l’eternità dei recuperi dei crediti, per la quasi eternità del giudizio civile, per l’incertezza del valore delle sentenze, senza parlare delle condanne. Il reato di truffa nei tribunali e quasi abolito, è diventato… improcedibile. Un non sense!
Tutti conoscono la situazione e allora perché queste battaglie apparentemente all’ultimo sangue? Qual è la posta? Sono proprio i diritti sanciti dall’articolo 18? Sembra di rivedere le battaglie cruente per le 35 ore di lavoro di cui ora non c’è più memoria, neanche nella sinistra più dura o, meglio, meno moscia.
La posta in gioco è in verità la cosiddetta “concertazione” tra governo e sindacati (con relativo codazzo di partiti). La concertazione si è trasformata nel tempo in “codecisione” che, come avviene nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, si è trasformata in un vero e proprio diritto di veto.
I sindacalisti lo vogliono mantenere e anche con il suo falso nome, il governo Monti lo vuole eliminare richiamando la regola della responsabilità costituzionale e del principio di rappresentanza elettorale del Parlamento e del Governo. La bandiera, un po’ stracciata, di questo confronto è l’articolo 18 e nell’interesse non tanto dei lavoratori ma in realtà dei sindacati. Chi è il più forte? Loro o il governo? Senza nulla togliere all’importante ruolo dei sindacati, soprattutto dopo la rivoluzione industriale e nel dopoguerra, va riconosciuta la loro decadenza nell’attività e nella rappresentanza, nell’unità di fronte ai problemi, nella autonomia dai partiti (e viceversa), nell’utilizzo di risorse statali, nella assenza di controlli reali e pubblici e di status giuridico.
In sostanza sono come i partiti che spesso criticano, che vivono, e vediamo come, con la stessa legge o meglio la stessa mancanza di legge. Ecco perché l’articolo 18 è l’alibi per una battaglia di potere: ed ecco perché i partiti, soprattutto a sinistra, sono in gravi difficoltà. Se stare col Parlamento e il Governo legittimamente costituiti o con partiti e sindacati dotati di poteri che sarebbero legittimi se istituzionalizzati e anch’essi sotto il dominio della legge. Per il cittadino democratico liberale non dovrebbero esserci dubbi.