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Missione in oriente
Il Presidente del Consiglio sta realizzando il viaggio in oriente per promuovere gli investimenti in Italia e l’Italia in quelle aree. Ma non è partito sereno, perché lasciava il paese di sempre, illuso dello scampato pericolo, dimentico della situazione e degli spreads di pochi mesi fa, sempre corporativo e attento al “particolare” machiavellico piuttosto che al generale interesse. In sostanza un paese che non si muove da almeno tre decenni, che parla di riforme che non fa, di giustizia che non esercita, di grandi opere che non realizza, di grandezze che non ha. Un paese, basta pensare agli ultimi anni, disponibile alla ricchezza di pochi, allo spettacolo, all’illusione; pronto a cambiare bandiera ma non l’esercito, qualche generale ma non la strategia, dove chi sbaglia non paga e il tempo che passa paga per tutti.
Cosa avrà detto e andrà a dire il sen. Monti ai frenetici popoli asiatici ed ai loro efficienti dirigenti capital comunisti? Potrà dire loro che non sono vere le notizie che hanno sull’ Italia, sulla nostra evasione fiscale, sulla corruzione della classe dirigente, sul vuoto politico dei partiti e sulla effettiva realtà dei sindacati, sulla crisi del sistema produttivo, sul ruolo mancato delle banche, sul deficit di pubblica moralità? Certo il suo è un compito difficile, più da venditore ambulante che da persona seria quale lui è: da questo punto di vista forse era meglio il suo predecessore, più idoneo allo scopo.
Dall’estremo oriente seguirà la vicenda parlamentare e politica italiana che sarà quella di sempre, alla ricerca del facile consenso, con la tentazione di dire che le cose non vanno poi così male, che la legge sul lavoro proposto dal suo governo non va bene, va corretta, ridotta, cancellata. I veri conservatori passano per progressisti e viceversa. E tutti sembrano dimenticare le proprie responsabilità, per nasconderle usano la falsa bandiera dell’articolo 18, ne fanno un problema ideologico quando serve solo a mantenere lo strapotere del sindacato, della sua organizzazione senza legge proprio come quella dei partiti, dell’immenso onere che rappresenta per lo sviluppo del Paese. Non si chiede, la signora Camusso, in verità chi ha fortemente contribuito alla situazione di gravissima difficoltà del paese, chi ha creato tensioni sociali ingovernabili, chi ha voluto le baby pensioni ( solo per fare un esempio), chi ha taciuto su provvedimenti sbagliati o ha ceduto facendo del diritto dei lavoratori più che la loro tutela la ragion d’essere del proprio potere, divenuto da sindacale a politico, tendente a sostituire la rappresentanza elettorale con quella associativa.
Non sono forse, anche queste, lacrime di coccodrillo, a parte quelle denunciate per il Ministro Fornero, quelle della Cgil sullo status dei lavoratori?
E la signora Marcegaglia non ricorda la politica confindustriale, da quella che causò gli autunni caldi e che portava al massimo sfruttamento dei lavoratori e all’arroganza dei “padroni” e quella di continua richiesta di sostegni dallo Stato, dal pubblico in generale, come ci insegna l’esperienza, non certo unica, della Fiat e quella di una declamata economia liberale e di una reale continua ricerca del sostegno pubblico, fatta con i soldi di chi le tasse le paga davvero.
La vera riforma che si dovrebbe realizzare nel nostro paese, pieno di difetti ma, anche di grandi risorse, è di tipo culturale e morale, per scrivere regole idonee a ritrovare il senso della condivisione, della appartenenza, seguendo con i fatti quello che diciamo essere utile, nel sapere e praticare ciò che unisce e che non può essere solo il denaro e la corsa per conquistarlo.
Dovrebbe cominciare e dare l’esempio proprio la politica. Ma come fare se ormai nessuno insegna ai giovani che ad essa si avvicinano ciò che un tempo veniva tenuto come un principio, riassunto dalla frase di Monsignor Bonomelli, di matrice sturziana, che “la politica vale per quello che costa, non per quello che rende”.