Il buon leghista

Ho atteso un po’ prima di scrivere degli scandali leghisti perché non volevo mi facesse velo il mio giudizio sempre negativo su quell’esperienza politica, ad onta della giustezza di alcune, poche ma importanti, sue intuizioni. Non era tanto la sua posizione palesemente estrema in alcune espressioni che non potevo accettare, quanto le caratteristiche della sua dirigenza, sia locale sia nazionale, che, pur migliorando nel tempo, manteneva, nelle sue espressioni più significative, un che di tribale, di pagano, di aggressivo pur se non violento, il rifiuto del patrimonio culturale che il nostro paese ha espresso anche e soprattutto nel Nord del Paese da Venezia a Torino, da Genova a Ravenna a Bologna a Firenze e via dicendo.
L’elenco delle esasperazioni leghiste è lunghissimo e, certo, non deriva dalla base ma da una dirigenza che aveva fatto della demagogia, un bel po’ fanfarona, un metodo, un po’ vetero comunista un po’ vetero fascista, per ottenere piazze piene e urlanti consensi.
Essi però si trasformavano in voti perché, anche se solo in parte, evocavano disagi veri, rivendicazioni presenti nella “pancia” di un elettorato ingrassato, ricco, dimentico del suo passato e orgoglioso del suo presente, conservatore, con difficoltà a vedere le novità del mondo, le migrazioni, le povertà e le nuove ricchezze.
Questa improvvisata dirigenza (non la sola, vista anche la lezione degli altri partiti del centro destra soprattutto) si è trovata dunque al potere per quasi dieci anni, gli ultimi, e ne ha conosciuto i benefici ed anche i privilegi, ci si è affezionata, vi ha inserito legittimamente i suoi uomini e le sue donne. A qualunque livello fossero.
Sembrava che, a parte episodi minori e periferici, la Lega forse però fuori dai fenomeni di mal governo che caratterizzavano gli altri partiti, più o meno tutti quelli a contatto con il potere vero, quindi tra Stato, regioni, province, grandi comuni ed enti economici connessi, più o meno tutti.
La Roma ladrona, per il buon leghista, evocava le manifestazioni con le corde da impiccagione in Parlamento, il giustizialismo più duro e immediato. Roma era un covo di malaffare e non del tutto a torto. Anche Milano però non scherzava in mal governo, ma erano sempre gli altri, solo gli altri.
Poi, il buon leghista scopre che a Milano, avendo molto potere, anche i suoi capi mangiano e di buona lena; che il sempre sorridente presidente del consiglio regionale Boni sa stare bene a tavola, in buona compagnia con il pidiellino Nicoli Cristiani e parecchi altri. Una tavola imbandita in comune e, il buon leghista si chiede assai sorpreso, perché Bossi e lo stato maggiore solidarizzano con Boni, non vogliono che si dimetta, decidono che resti lì.
Poi, quando la Lega fa la voce grossa dell’opposizione, dopo un’inutile decennio di rumoroso ma inefficace governo, scoppia la bomba e proprio nella ristrutturata casa del capo, in quella del mitico Gemonio, dove, in un frugale pasto di polenta e sardine, fu fatto cadere il primo governo Berlusconi che subito divenne per bocca leghista, Berluscazz, mafioso, corrotto e tanto altro ancora. Mentre D’Alema definiva la Lega “una costola della sinistra” e, il presidente Scalfaro, soddisfatto, garantiva il non ricorso alle elezioni.
Ora, il buon leghista sente la vergogna e la rabbia, non vuol credere a quanto dicono le indagini, s’impone di non credere: alle lauree fasulle e pagate a caro prezzo, alle auto di lusso, alle case in Sardegna della vice presidente del Senato Rosi Mauro, alle spese private, ai costosi capricci del figlio politico e di quello apolitico e tanto altro ancora e con i soldi del partito pagati anche dai cittadini non leghisti.
Il buon leghista di periferia si chiede, nel suo dialetto che gli hanno detto essere di origine celtica, cosa sia successo e si risponde che non può essere, che Bossi era ed è malato, che non sapeva nulla, che non poteva capire.
Ma sa, dentro di sé, che, pur certamente malato, era un importantissimo ministro di Stato nella Roma ladrona e che decideva per i lombardi ma anche per i siciliani e i “terroni” vari.
Come poteva ignorare tutto, anche quello che gli diceva, col garbo dovuto, la sua fedele segretaria? Il buon leghista lo rifiuta, ma lo sa!
Allora fugge altrove: ci sono bravi leghisti di vertice che volevano cambiare, che non sapevano, che non hanno potuto controllare. Ne cita due: Roberto Maroni e Roberto castelli, che sono stati il primo Ministro dell’interno, l’altro Ministro della giustizia per lungo tempo e, tra l’altro, membro della commissione amministrativa della Lega. Entrambi capi di dicasteri, dove si può sapere tutto, con strumenti di informazione colossali, con orecchie larghe e sensibili.
Anche loro, dice tra sé e sé il buon leghista, non sapevano nulla. Ma allora perché chiedevano, prima di questi eventi, le dimissioni del tesoriere? Solo per dei sospetti di qualche irregolarità? Il ministro Maroni, che vantava per sé il merito di avere fatto scoprire mafiosi di primissimo livello, non sapeva nulla di quanto avveniva in casa sua?
Questo quadro politico non vuole essere di accusa “penalistica” ma di analisi politica. Si guarda alla Lega nella constatazione che nessun partito, come, infatti, avviene, scaglia pietre su Bossi, non solitario emblema di un sistema che, in modo ognuno diverso, tutti i capi dei partiti condividono.
È un sistema che merita un’analisi seria, una profonda riforma, ma che tutti già conoscono, che sta esplodendo in modo assai forte e nel mezzo di una grave crisi economica e politica e di cui la vicenda leghista è il detonatore più potente, proprio perché si riteneva, dagli ingenui, la Lega meno coinvolta.
L’analisi del sistema è legata al livello della classe dirigente che alcuni di questi capi hanno voluto, non tutta ma quella che conta. Basta pensare che l’amministratore leghista. Belsito, prima di entrare in politica con la Lega e diventare addirittura Sotto Segretario di Stato, faceva il buttafuori di una discoteca. Certo, non aveva la giusta cultura, la preparazione, la formazione per diventare, tout court, membro di Governo. Bossi, quando faceva le scelte dei suoi dirigenti, non era ancora malato.

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7 Responses to "Il buon leghista"

  • Claudio Maffei says:
  • alessandro lanteri says:
  • Pier Giuseppe Porzi says:
  • Fabrizio says:
  • Gianni Porzi says:
  • Rocco de Zio says:
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