Operazione riuscita, paziente deceduto

La crisi finanziaria internazionale morde ancora e nulla garantisce una stabilizzazione definitiva. I debiti sovrani degli Stati sono sotto il ricatto della speculazione dei mercati, gli Stati stessi sono finanziariamente deboli ed economicamente fragili di fronte alle ondate mondiali di una finanza aggressiva.
L’Europa è più debole di tutti, perché è politicamente inesistente, con leaders di minor calibro che non in passato e spesso incerti sotto scacco delle incursioni della pirateria finanziaria.
Le economie nazionali possono fare qualcosa in questa situazione? Le esigenze tecniche e dei tecnici possono essere superiori a quelle sociali e di una politica per i cittadini e non solo per banchieri e finanzieri?
Non sottovalutiamo l’esigenza di ricette dure, anche perché bisogna pagare lo scotto delle precedenti follie, della demagogia dei partiti, degli eccessi dei sindacati, della semplicistica ricerca dei consumi, del do ut des di una democrazia malata.
Ora paghiamo il conto di anni di spesa pubblica incontrollata, di un immane debito pubblico, frutto non dalla realizzazione di opere pubbliche e di investimenti ma dalla creazione di una economia di Stato di tipo para politico e socialistezzante, portata piena di aziende divenute succursali economiche dei partiti e che si occupavano di tutto, pure della produzione di panettoni.
Basti pensare alle nostre partecipazioni statali ed alla successiva liquidazione di IRI, EFIM, e mille altre.
L’economia ed il comportamento finanziario dei decisori, si ispirò, ad un certo punto e per porre rimedio, e non solo in Italia, a politiche diverse che spostavano il baricentro del comportamento economico verso il monetarismo, l’equilibrio di bilancio, le tesi di Milton Friedman e della sua scuola, la produzione di moneta in modo continuo. Sia la Banca d’Italia che quella Europea hanno operato in questo spirito e sull’economia basata sulla moneta, magari stampata in abbondanza che ha preso il sopravvento e lo ha ancora.
Non è escluso che, in tempi di congiuntura normale, le tesi di Friedman abbiano aperto prospettive assai interessanti, ma non hanno impedito il ritorno delle grandi crisi, magari attenuandone i fenomeni inflazionistici, ma aumentando in modo assai grave la prevalenza della finanza (soprattutto speculativa) sulla economia produttiva reale. Senza contare la globalizzazione.
In periodi di congiuntura straordinaria e di crisi, come avvenne peraltro dopo il 1929, ci paiono più consone politiche economiche di tipo Keynesiano, con investimenti in opere e in economia, non gestite da aziende di stato ma dallo Stato stesso controllate. In sostanza la politica anti crisi portata avanti dal Presidente Roosevelt negli USA.
Ora gli economisti, i “tecnici”, magari vestiti da politici, data l’incapacità di quelli “veri”, ci danno soluzioni da lacrime e sangue, riservate però, più ai deboli che i forti, ai poveri che ai ricchi. Una cura da cavallo, con asini e muli sotto la soma e cavalli “di razza” esenti o quasi, in stile molto vetero liberale e poco democratico.
Se, ed abbiamo seri dubbi, la cura sarà efficace, ci troveremo prima o poi con i bilanci apparentemente in ordine. Ma rischiamo di tornare all’epoca di Quintino Sella, quasi 140 anni fa, grande scienziato ed economista, Ministro delle finanze che mise le basi per ottenere il pareggio di bilancio con una “economia fino all’osso” (come lui stesso la definì) ma giungendo ad imporre la famigerata “tassa sul macinato” l’ultima di una lunga serie di pesanti imposte e gravi restrizioni.
Ma Quintino Sella governava l’Italia, un paese appena nato, tra il 1862 e il 1873. La sua grandezza e da tutti apprezzata per molti meriti non solo di governo ma la durezza economica dei provvedimenti aumentò la grave crisi sociale, portò alla “rivolta dello stomaco” contro il prezzo del pane aumentato sempre più dalle tasse, condusse alla repressione militare del generale Bava Beccaris che fece sparare sulla folla dei rivoltosi a Milano.
Il paragone tra le due situazioni è ovviamente improprio ma le ragioni della rivolta sono sempre legate al disagio sociale ed alla fame.
Certo i tecnici, Sella in primis, avevano buone ragioni, ma la destra liberale perse il potere e per 20 anni governò la sinistra che introdusse più moderazione nei tempi e ridusse la pressione dello Stato. Anche allora i territori più bersagliati dai provvedimenti erano quelli più sviluppati: Milano, Como, Varese, Bergamo e Brescia, la Lombardia.
Tecnicamente i chirurghi avevano operato bene, secondo le regole economiche, ma il bilancio malato dello Stato veniva ovviamente curato sulla pelle dei cittadini che erano il vero paziente. E, naturalmente per quel tempo, ma in genere per tutti tempi, pagavano i più poveri, i più deboli.
Del resto sappiamo che, salvo casi particolari, i ricchi non sarebbero ricchi se avessero pagato tutto come i poveri! Il chirurgo, tecnico per definizione, deve certo puntare al successo del suo intervento, ma con la moderazione, la selezione, la giusta tutela del comune interesse, la capacità di guadagnare il consenso, non solo elettorale.
Sarebbe assai triste un’operazione riuscita con un paziente defunto.

Tags: , , , , , , , , , , , , ,

2 Responses to "Operazione riuscita, paziente deceduto"

  • Gianni Porzi says:
  • Consolati says:
Leave a Comment

*