Mag
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Tra malessere e rivolta
Non è la prima volta, in tempo di pace, che l’Italia vive il malessere: per l’economia, la crisi petrolifera, la sicurezza sociale, il terrorismo ed altro ancora. Ha sempre saputo superare però i momenti difficili anche se con notevoli sforzi e significativi ritardi. Anche in passato i fenomeni italiani si inserivano nel contesto internazionale e particolarmente in quello europeo. Ma, pur nella cooperazione, ogni Paese affrontava i problemi con le proprie forze, con le risorse disponibili ed anche con i propri limiti. La Germania affrontò e risolse quasi definitivamente il problema delle proprie “brigate rosse” (la rote armee fraktion) in modo e tempi ben più veloci dei nostri. Noi andammo avanti anni in indagini, inchieste, in processi inconclusi e con soluzioni mai totalmente raggiunte. Basti pensare alle stragi: da piazza Fontana all’Italicus, a Brescia. Ma è la nostra Italia.
Ora affrontiamo un’altra stagione di forte malessere, la crisi economica è gravissima, quella sociale incombente. Il dramma della vicina Grecia ci spaventa sia per le conseguenze sia per il modo usato per affrontarla. Anche stavolta i tempi sono fondamentali ma non abbiamo la capacità di affrontarli. Dopo un primo momento di decisione, per l’esistenza della brinkmanship. L’orlo dell’abisso) sembra che le idee non siano più chiare e soprattutto gli interessi elettorali e politici, prevalentemente partitici, prevalgano su quelle del buon governo. Così “dum Romae consulitur Saguntum expugnatur” (mentre a Roma si discute Sagunto viene espugnato). Non si può discutere all’infinito soprattutto quando si tratta di arginare la spesa dello Stato, che è anche spesa di regioni, province che si dovrebbero abolire, di comuni, società pubbliche, enti di varia natura che rappresentano un flusso continuo di risorse.
Se non si interviene velocemente e con competente coraggio si rischia la trasformazione del malessere in rivolta, senza reali possibilità di risoluzione del problema, data la sua dimensione globale, i vincoli dei trattati, la tentacolare speculazione internazionale, il debito gigantesco di tutti o quasi i paesi coinvolti che, per decenni, hanno speso senza limiti e sono vissuti sul debito, prima con i propri cittadini ed era il male minore e poi con la finanza internazionale di cui siamo diventati schiavi. La situazione però può essere affrontata solo con forti tagli a sprechi e privilegi e con una politica sociale altrettanto forte a tutela dei più deboli e di crescita con interventi economici e normativi di forte stimolo.
Ed anche con una decisa politica di controllo del sistema bancario, divenuto più che mai una palla al piede nei riguardi dell’economia reale. Le banche hanno un ruolo pubblico, altro che società private! Devono essere regolate con una disciplina ferrea, bisogna impedire gli investimenti finanziari che consentono operazioni miliardarie anche private ed anche dei propri dirigenti e, per i banchieri che depauperano la gente del proprio stesso denaro, un trattamento da 41 bis, come per i mafiosi. Sembrano esagerazioni ma non lo sono e basteranno pochi esempi per far mutare il clima.
Il mondo della finanza sta alterando la democrazia in molti Paesi, con il suo potere incontrastato, tollerato, talvolta condiviso. Quando la Francia di Luigi XVI visse il dramma della miseria, della violazione dei diritti, del prevalere dei soprusi mandò alla ghigliottina ricchi, nobili, preti e potenti. Certo non fu un esempio di giustizia assoluta ma si contrapponeva ad altrettanta arroganza del potere.
Il malessere è più diffuso di quanto non sembri.: ne ho avuto prova parlando con cari amici, sostanzialmente moderati, comprensivi delle esigenze dello stato del paese, ragionevoli ed attenti. Scoprivo in loro la presenza del malessere, atteggiamenti di legittima rivolta, urgente pretesa di uno Stato attivo e critiche per una politica inesistente, quasi inconsapevole del proprio stesso futuro.
Il malessere è prodromico della rivolta e questa non la fanno i moderati solo perché gli stessi si trasformano in potenziali disperati, il che significa senza speranza. La trasformazione del malessere in difficoltà e della difficoltà in non speranza ed in rivolta, è un processo pressoché ingovernabile, sotterraneo, capace di esplodere sotto qualunque sollecitazione anche eccessiva e apparentemente ragionevole. I politici sembrano tutti dei pesci rossi dentro l’acquario, incapaci di agire su quello che avviene fuori, dove la gente vorrebbe rompere l’acquario e vederli ansimare per terra.
Chi può, cerchi di ridurre il malessere, in fretta, molto in fretta, anche se con qualche errore. Bisogna.