Aspettando i tartari

Nel 1940, all’inizio della partecipazione italiana alla seconda guerra mondiale, in contrasto con il tumultuoso precipitare degli eventi, il grande Dino Buzzati pubblicava il suo capolavoro “Il deserto dei Tartari “, il romanzo della inutile attesa, del passare del tempo alla ricerca di un evento che non appare, della guardia verso un nemico che dovrebbe attaccare e consentirci una difesa, una vittoria che immaginiamo al più presto realizzabile ma che non viene mai.
Nella fortezza Bastiani, al confine con il deserto dei Tartari, vivono ufficiali e soldati, sempre nell’attesa di un evento prevedibile e ci passano la vita, mentre i comandi, il potere, sembrano ignorarne la inutilità, convinti che le regole stabilite siano da conservare per sempre. Il giovane tenente Dogo e entrato nella fortezza appena ventunenne, uscirà vecchio e malato, logorato dalla lunga attesa, emblema della vita stessa, del suo forse inutile trascorrere.
Nel tenente Dogo, nella sua lunga attesa degli eventi che avvengono e soprattutto che non avvengono, c’è un po’ la vita di ognuno di noi, delle sue speranze, attese, illusioni, e delusioni. Ognuno nel suo spazio, nella sua fortezza, di fronte ai propri Tartari, impossibili da sconfiggere perché non appaiono, forti e veri, di fronte a noi. I tartari sono anche i nostri sogni, ciò che vorremmo di fronte a noi per misurarci, nel combattimento che vorremmo a difesa delle nostre bandiere, dei nostri ideali, della nostra piccola o grande fortezza Bastiani.
Molti ignorano l’esistenza stessa della fortezza, di ogni fortezza che non sia la propria, delle fatiche che comporta, delle risorse che utilizza e che spreca. Non necessariamente ai limiti del deserto ma ovunque, dove si esercita la battaglia del vivere, del confronto con gli altri e della gestione in vario modo delle Polis, che è nostra ma anche di tutti , dei buoni e dei cattivi, dei nostri amici e dei Tartari.
Per anni ed anni ci si batte per ideali sempre lontani inconsapevoli che molto spesso i Tartari, invisibili e non definiti come quelli di Buzzati, non sono solo contro di noi ma in noi, tra i nostri, tra coloro che impegnano la nostra vita con promesse verosimili, con proposte allettanti, con nobili motivi di impegno. Ci nascondono molte verità: che l’avversario talvolta non è quello che ci indicano né come ci dicono, che nel nostro campo vi sono menzogne e traditori, che i veri capi sono altri rispetto a quelli che appaiono e con ben altri obiettivi.
Noi combattiamo la vita, aspettando eventi che non arrivano, e passiamo, come scriveva Michelet, davanti all’immobile tempo. Ognuno di noi, anch’io, a vent’anni prendeva posizione nella propria fortezza: l’ideale era politico, indicato da leaders prestigiosi, ostacolato da Tartari avversari. Bisognava salvare dal loro attacco, libertà e democrazia, governare con lungimiranza, col popolo e per il popolo, o con la metà di popolo che stava con noi. Serviva una azione per aiutare lo sviluppo del Paese, per aumentarne la libertà, il benessere, la qualità della vita. Ed estendere oltre, in spirito cristiano, le condizioni di crescita: ai paesi poveri, al sottosviluppo, ai sistemi antidemocratici e anti liberali. Nelle fortezze. c’erano molti giovani ufficiali, molti Dogo, impegnati in questa lunga guerra, ogni volta con battaglie diverse, spesso costretti a combattere in difesa più che all’attacco.
Quei giovani ventenni ora sono invecchiati, hanno le mostrine delle battaglie combattute, il ricordo del loro costo, talvolta delle gratificazioni, spesso del dolore delle ferite. Si rendono conto però che le più significative speranze non si sono attuate, che i grandi temi di libertà, democrazia, onestà, ideali, Stato efficiente e giusto, magistratura leale e pronta, dirigenza colta e preparata, verità nella comunicazione e tanto altro ancora, sono purtroppo ancora temi attuali, problemi irrisolti e sono ancora sul tavolo, davanti a noi.
Abbiamo visto grandi eventi dalle torri della nostra fortezza: dall’uomo sulla luna alla guerra fredda, dalla costruzione del muro di Berlino alla sua distruzione, dalle spesso inutili rivoluzioni alla assai incerta autonomia dei paesi coloniali ed anche lo sviluppo economico e le crisi del dopoguerra, il crollo dell’Urss, la fine della Jugoslavia, le nuove geografie, le torri gemelle. E le brigate rosse, l’omicidio di Aldo Moro, tangentopoli e tanto altro ancora.
Troppo tardi siamo arrivati a scoprire però che i Tartari erano tra di noi e per questo non li vedevamo giungere dal deserto. Erano i falsi profeti, i mai stanchi di ricchezza, i nemici delle riforme e anche i demagoghi delle riforme. Sembravano commilitoni ma combattevano contro gli ideali dei giovani di allora o li corrompevano col potere e modificavano il senso delle loro speranze.
Molti di loro, come Dogo, sono ormai anziani e malati e vedono sul tavolo delle proprie illusioni gli stessi problemi di cui si discuteva e ci si azzannava cinquant’ anni fa. Certo molte cose sono cambiate: i computer sono piccoli e veloci, le scope sono diventate elettriche: ma l’immondizia sembra aumentare e non vediamo capaci spazzini. Così Dogo, i molti Dogo che ci  avevano a lungo creduto, escono dalla fortezza, si allontanano dal fronte, dolorosamente, lasciando che altri ventenni si illudano ancora di difenderci dai Tartari e senza avere più il tempo e la forza di dire loro che i Tartari sono tra noi, forse inconsapevolmente siamo anche noi.

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6 Responses to "Aspettando i tartari"

  • Fabio Pietribiasi says:
  • Gianni Porzi says:
  • rocco de zio says:
  • alessandro lanteri says:
  • Claudio Maffei says:
  • Ezio Zadra says:
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