Lug
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Il tramonto della Lega
Il congresso della Lega, il primo dopo 10 anni di “democrazia” leghista, ha incoronato Bobo Maroni come segretario politico, togliendo a Bossi il potere detenuto in modo monarchico fin dalle origini. I leghisti lo hanno definito come l’evento della rinascita, della ripartenza, della nuova Lega. È stato un congresso unanime, simile e al tempo difforme da quella assemblea che ha “eletto” Angelino Alfano segretario del Pdl.
Entrambi senza voti contrari, per acclamazione, con i padri fondatori consenzienti quanto poco convinti ma obbligati a quella scelta; entrambi colpiti da magistrati cattivi e comportamenti, i loro, inventati o esasperati dai soliti servizi segreti, anche se sembra, eccezionalmente, che questa volta la CIA non c’entri.
Entrambi sono ex ministri importanti uno alla Giustizia e l’altro agli Interni ed entrambi hanno l’arduo compito di ricostruire i propri partiti dalle macerie giudiziarie e politiche. Ma in entrambi i casi sembra essere stato celebrato più che altro un rito, non si capisce bene se battesimale o pressoché finale.
Il battesimo leghista eravamo abituati a vederlo con le vergini acque del Po, alle sue sorgenti, che divenivano sempre più inquinate lungo il percorso sempre più verso Venezia, dove all’arrivo l’insulto prevaleva sulla preghiera al dio celtico.
La cresima la vedevamo a Pontida dove i soldati padani celebravano le virtù guerresche (senza molto conoscerle) dei Comuni che combatterono il nemico Federico Barbarossa, dal quale ottennero dopo anni, l’autonomia interna delle città, quelle che avevano però giurato fedeltà nelle sue mani. Altro che separatismo.
Successivamente, garante l’amico dileggiato e tradito Silvio Berlusconi, ci fu il lungo periodo del potere romano, con ministri, sottosegretari, presidenti e consiglieri di enti, di RAI, di Finmeccanica, di autorità “indipendenti” e via andando.
Fu così che Roma ha ben digerito i leghisti e questi hanno ben digerito Roma. Talmente bene da diventare maestri del potere della capitale e dei suoi anche più nascosti segreti economici e burocratici.
Sempre però con i due volti della Lega, quello moderato ed istituzionale di pochi Maroniani e quello provocatorio dei Calderoni, di Rosi Mauro, e di tanti altri noti urlatori.
La fine della Lega delle origini si vedeva bene e già da tempo a Roma, dove l’occhio esperto dei circoli e dei salotti, era lieto di vedere la veloce romanizzazione dei barbari, che fossero “sognanti” o del “cerchio magico” non cambiava granché. In verità si vedeva bene anche a Milano, Venezia, nelle città padane dove sta al potere. Sarebbero andati avanti ancora un bel po’, senza novità e senza congressi anche se forse avremmo visto Tosi e Maroni espulsi dalla Lega e il cerchio magico sempre più imperante. Ma, non bisogna credere che il governo dei seguaci di Maroni e Tosi sia nella sostanza diverso, più leggero, più aperto al dialogo con le opposizioni, meno ossessivamente presente nei centri di potere. Cambia molto una ben finanziata comunicazione, e lo stile meno barbaro e già sembra quasi un miracolo.
Però è scoppiata, secondo Bossi per congiura, il caso Lega-Belsito, l’uso padronale del denaro pubblico, il familismo più esasperato, lo scandalo!
Erano quelli che ci insegnavano la virtù, il buon governo, che portavano la corda da impiccagione in Parlamento, che davano del ladro a tutti, a quelli veri ed agli onesti che sono comunque la maggioranza delle persone in Parlamento.
Così la Lega ha perso la sua credibilità, si è mostrata uguale e forse peggiore degli altri partiti, con una classe dirigente affarista e palancaia. La contraddizione tra gli eccessi del dire e del fare ha reso assai più grave tutta la vicenda.
Naturalmente non tutta la Lega è così, ma lo era quella che contava, che gestiva denari e potere, che decideva le candidature, i posti di governo e di sottogoverno centrali e periferici.
Il congresso che vuole rappresentare la rifondazione non ha superato il dualismo della leadership pur nell’unicità della candidatura. Nonostante l’impegno dei riformatori Il partito non può ritrovare una sua verginità, che era fittizia ma Che era forse la cosa più importante di cui si vantava. Infatti, i suoi obiettivi politici, federalismo incompiuto, regionalismo sempre più burocratico e centralista, mancato sviluppo delle piccole e medie imprese e dell’economia del Nord, ministeri anche a Monza e Parlamento itinerante tra ville venete o mantovane sono tutti falliti, taluni addirittura nel ridicolo, altre nello scandalo.
Maroni che è stato anche un buon ministro, ha ripreso la foga separatista, bellicosa, moralista per tenere insieme vecchi e nuovi leghisti. Ma chi lo ha visto con la scopa in mano non ha certo pensato che volesse ripulire il Paese ma la sua stessa casa. Molti, anche dei suoi, si chiedevano dove lui fosse allora, negli anni passati, ai tempi degli “errori”. Altri se potesse, pur con la massima buona volontà, come il biblico Giosuè che fermò il sole, essere lui a poter fermare, per la Lega, l’ineluttabile tramonto.