Sicilia come metafora

Non credo che l’annuncio di un possibile default della regione Sicilia abbia credibilmente stupito qualcuno. Il fallimento economico della regione è la logica conseguenza di un lento e inesorabile fallimento politico e in larga misura culturale; il fallimento di un modo di essere. Infatti, esso è senza colori, di destra, di centro, di sinistra. Tutti egualmente responsabili, pro quota e pro tempore, di un’irresponsabilità organica, di un malgoverno portato a sistema, e quasi giustificato dalla stessa opinione pubblica siciliana; di una classe dirigente non solo politica, brava nello spendere a iosa e male i soldi dello Stato, oltre ai propri, quanto incapace di utilizzare quelli legittimi (ma ben più controllati) dell’Unione Europea, che sono peraltro anch’essi italiani. Di fronte a questo stato di cose, non basta annunciare le dimissioni del presidente della regione ma fare una profonda analisi sullo stato della situazione e attuare una vera rivoluzione metodologica, di classe dirigente, di chiamata di responsabilità. L’ultimo ex presidente della regione Sicilia sta in galera, ma con lui dovrebbe esserci una bella fetta di uomini politici, non per gli stessi reati, ma per quello, ben più grave, di incapacità e abuso di governo. L’autonomia siciliana, e forse non solo quella, rappresenta l’alibi di quella terra e di quel popolo. È il mito che tutto giustifica, che tutto gestisce, che unisce i valori di belle intelligenze alla demagogia di populisti capaci di corruttela ed anche di mafia. L’autonomia speciale ha dato ampio spazio a una politica anch’essa “speciale”, autoreferente, incapace di autocritica, di responsabilità del dirigente che l’ha infusa anche in tutta la cultura locale, alla logica del cittadino. La Sicilia ha espresso grandi personaggi politici che hanno segnato la vita di tutto il Paese: uno per tutti Luigi Sturzo e la classe dirigente da lui creata, dal siciliano Alessi al trentino De Gasperi. Ma, dopo la guerra e con la scusa dell’autonomia, l’isola ha espresso una dirigenza pessima, con le sue pregevoli eccezioni, spesso legata alla mafia, la peggiore rappresentata da Ciancimino e altri come lui, l’altra clientelare e comunque spendacciona e incapace di serio governo. Anche se la politica ha prevalso in questa degenerazione, non è stata sola e ha contagiato ed è stata espressa da tutto il resto della regione, quella industriale, imprenditoriale, amministrativa, delle professioni ed oltre. Ora, almeno apparentemente e di fronte al fallimento annunciato (che sarà di certo, come sempre, evitato dallo Stato, pur esso davanti ad un futuro assai nero) qualcuno si muove, emerge la esigenza di una profonda ed operativa riflessione sul futuro di questa splendida e sciagurata regione. Intendiamoci, ora parliamo di Sicilia, ma non ignoriamo che essa, nella maggiore gravità della situazione, è quasi il paradigma, l’esemplificativo di notevole parte dell’Italia, certamente dell’incantevole sud del Paese. Non ho mai avuto simpatie leghiste ma, come molti altri al Nord del paese, ne posso comprendere le ragioni, e la giustezza dell’idea che alle autonomie regionali devono corrispondere i relativi impegni, e che la solidarietà nazionale deve corrispondere alla responsabilità delle sue componenti. Alla base del sistema democratico e dello Stato di diritto e vi fu il detto “no taxation without representation” (niente tasse senza rappresentanza politica) ma dopo alcuni secoli, ci pare più attuale affermare il rovescio ” no representation without taxation” se non si pagano le tasse non si ha diritto alla rappresentanza. Un tempo ormai lontano, avevo proposto (come avviene per il fallito, talvolta ingiustamente), di togliere il diritto di voto all’evasore fiscale. Ma come fare per ridurre la folle corsa alla spesa di regioni e non solo? Non possiamo abolirle, è troppo difficile, ma togliere i soldi, la possibilità di spesa, attuare rigidamente la responsabilità personale degli amministratori, far applicare le tassazioni locali : questo è possibile. E se la siringa di Palermo costa dieci volte di più di quella di Milano, lasciamo il giudizio ai cittadini di Palermo ma lasciamogli anche la spesa. La vera solidarietà non è solo la cura di un male ma fare in modo che ognuno capisca come bisogna curarlo. La democrazia dà il potere, con il voto, al popolo. I siciliani, e certo non solo loro, imparino ad usarlo, possibilmente a spese proprie.

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