La legge di Gresham

Abbiamo detto più volte che non bisogna generalizzare, non fare di tutta l’erba un fascio e ne siamo ancora convinti. La crisi della regione Lazio (vantaggi delle lotte interne, debolezza dei controlli istituzionali!) ci ha dimostrato un malcostume che non immaginavamo, nelle sue forme e nella sua entità. Riflettendoci però pensiamo che una bella indagine sulla Sicilia e la Campania ci illustrerebbe altre forme, più raffinate della “burineria” laziale, ma non meno gravi. E altrove? Dubitiamo che ci siano eccezioni, anche se gli utilizzi dei soldi di Pantalone, il simbolo dell’Italia di oggi, saranno magari meno volgari che non l’uso di ostriche e champagne. Certo, ma con molta prudenza speriamo non sia proprio così.
Quando si fecero le regioni si sperava in qualcos’altro, di più vicino popolo della lontana Roma, di attività non burocratico amministrative ma solo legislative, per togliere sovraccarico al Parlamento nazionale; di una rappresentanza più ampia e solida delle già allora abolende province che ci ritroveremo ancora, zombies delle precedenti, speranzose ed in attesa di rinascere. E tante altre non mantenute promesse.
Fu la Lega a parlare di federalismo dando l’idea di federazione di Stati (magari pronti alla secessione); fu Berlusconi ad accettare, dopo il tradimento del ‘94, l’accordo strategico, l’abbraccio mortale che ci ha portato fin qui. La Lega, affermando di essere uno Stato del nord, addirittura stava creando una sua “zecca” con riserve di barre d’oro, brillanti, immobili, valuta estera, magari africana.
Quante cose si sapevano nei quartieri alti e tra gli stessi leghisti più attenti ed onesti. Ora sembra di scoprire di tutto: di Lusi che si fregava i soldi della eredità alla defunta “margherita”, dei maneggi del tremontiano  on. Milanese del PDL, dell’on. Papa, pare appassionato di Rolex, belle auto ed oggetti preziosi, di Belsito, Bancomat della famiglia Bossi, del cerchio magico e di se stesso, ed ora di Fiorito (PDL) che, con i soldi pubblici, consentiva a sé e ai suoi consiglieri di ripristinare le glorie della dolce vita felliniana e i fasti delle feste imperiali.
La signora Polverini, governatrice della regione Lazio, afferma di non aver saputo, neppure intuito, né immaginato. Come tutti gli altri leaders ignorava i comportamenti dei suoi consiglieri, e forse è,almeno parzialmente, vero. Dopo avere minacciato le dimissioni e di mandare a casa il suo consiglio di “epicurei” (con il rispetto per il vero Epicuro), dopo un colloquio con Berlusconi, aveva cambiato idea, certo in nome di più alti ideali, che il capo le avrà prospettato e forse promesso per il futuro. Ma, dopo le dimissioni di mezzo consiglio, ci ha ripensato e, con un sussulto di orgoglio, si è dimessa, mandando tutti a casa.
La Polverini, pur con molti errori tattici ci è sempre apparsa come una persona perbene, degna del suo ruolo, ci aspettavamo che non rinunciasse a difendere la sua immagine,a dare un segno forte di moralità politica ed un esempio duro di coerenza ai suoi elettori e a quelli di altre regioni. Un po’ tardi ma l’ha fatto e lo apprezziamo, come per altri, più modesti, che hanno rinunciato alle lusinghe del potere ed hanno pagato di persona una onesta rivolta civile.
Scriveva il grande Alfredo Oriani nel suo antico, splendido libro “La rivolta ideale” che “in una civiltà maturata … apparvero le vere aristocrazie politiche …nobilitate dalla responsabilità di un potere, che sollevava i loro individui al di sopra di sé medesimi e, nella rivalità, perfezionava le forme più originali del carattere civile. Atene e Venezia, Roma e Londra ebbero lungamente nei Senati le più magnifiche assemblee umane e videro sorgere i modelli immortali dell’eloquenza e del pensiero politico … e la loro essenza era nel carattere e la virtù nel sacrificio”.Essenza e virtù che vorremmo vedere almeno in una parte della classe dirigente del nostro Paese, ma è troppo tempo che ce lo aspettiamo.
Non avremmo avuto delusioni se non fosse avvenuto per tanti altri esponenti di questa nuova aristocrazia (ma è meglio dire oligarchia) del potere, frutto di compromessi, di stretti rapporti con il denaro, spesso di corruzione degli stessi propri proclamati quanto formali ideali.
Ancora con Oriani e la sua “Rivolta ideale” “ è necessaria dunque un’alta aristocrazia che, esprimendo le più alte differenze, risolva la equazione di tutte le altre” e richiama all’antica formazione del carattere morale che si imponga alla incoscienza volgare, corrotta, edonistica, senza amore per il proprio Paese né rispetto per la propria funzione.
Oggi l’aristocrazia (governo dei migliori) è sostituita da una falsa democrazia (governo del popolo) divenuta in realtà partitocrazia, che però esprime troppo spesso gente inadeguata ed anche peggio. Può il popolo, democraticamente, riuscire ad esprimere una sua aristocrazia, i cui titoli non siano quelli familiari o nobiliari ma quelli della formazione, della conoscenza, della cultura, dell’onestà, della capacità di rappresentanza e difesa del collettivo interesse?
C’è una legge in economia che afferma “ la moneta cattiva scaccia la buona”. Fu elaborata da Sir Thomas Gresham , economista, imprenditore, consigliere finanziario della regina Elisabetta 1a. E’ una legge che vale anche nel vivere comune e nella politica come anche nell’etica. Questa norma  è andata e va sempre più prevalendo, i peggiori cacciano i migliori,  le loro proposte sono più allettanti, più semplici, più gradevoli per il popolo, più false. I risultati si vedranno poi e, come sta accadendo, li paghiamo e pagheremo sempre di più.
È possibile invertire democraticamente la tendenza, andare verso una faticosa ma  utile serietà, responsabile e veritiera, verso una classe dirigente degna di questo nome? Ci limiteremo alle chiacchiere, agli insulti, alle promesse inutili, alle battute salaci? Affronteremo il tragico con il comico?.
Dobbiamo confessare che il pessimismo ci tenta, ma la speranza, che postula l’impegno, è d’obbligo.

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