Set
26
La Sardegna va a carbone: non da sola
Con grande pena e altrettanto disagio ci troviamo ancora di fronte al dramma dell’Alcoa e dei minatori sardi, che manifestano la loro preoccupazione per la mancanza di lavoro. Le aziende hanno costi di produzione eccessivi e i proprietari esteri hanno deciso di chiudere, di non perdere denaro: a determinare la scelta sono soprattutto i costi dell’energia più che non quelli dei lavoratori. Pare anche che da molto tempo l’evento negativo della chiusura risulti prevedibile e previsto e che poco o nulla si sia fatto per avere delle diverse opzioni industriali, per evitare questo ulteriore degrado, come se a pensarci debbano essere solo i poveri minatori, ridotti allo stremo economico, psicologico, e morale. Certo non sono i soli a patire la crisi economica del paese, certo anche loro si sono fidati di governi che dichiaravano la crisi inesistente, di là da venire o addirittura superata. Dal fondo delle miniere non potevano rendersi conto dei ristoranti affollati del nostro paese Si fidavano anche della loro amministrazione regionale, assai spendacciona come tutte le regioni italiane, presa da ben altri dibattiti.
La Sardegna ha espresso una classe politica con delle grandi eccellenze, presidenti della Repubblica, da Segni a Cossiga, autorevoli ministri, politici di alto livello. Basti pensare a Lussu, Gramsci, Berlinguer. Ci si chiede come mai contemporaneamente non abbia saputo esprimere una classe dirigente capace di fare qualcosa di più che non la promozione turistica e tanta burocrazia.
I sardi sono persone serie: lo hanno dimostrato recentemente, abolendo, motu proprio con referendum, alcune province fatte nascere dalla demagogia politica e spendacciona. Si tratta di una scelta che mai avremmo potuto immaginare nella altrettanto autonomistica regione siciliana.
Ci si chiede dunque come mai la Sardegna non ha saputo esprimere una dirigenza locale capace di affrontare i pur gravi problemi della regione. Cui non mancano notevoli risorse, dirigenti e dipendenti e solo 1.700.000 abitanti. Sono certo che dirigenti e dipendenti sono certo di più dei minatori del Sulcis e dell’Alcoa di cui dovrebbero occuparsi. I problemi la Sardegna non sono solo quelli del Sulcis ma constatiamo che non esiste un effettivo e operativo piano di sviluppo dell’isola ma studi puramente teorici e non operativi, capaci di immaginare e promuovere qualcosa di diverso dal solito richiamo al Governo centrale del Paese o alle finanze europee.
Se esiste un’autonomia speciale, essa deve essere gestita dal popolo e dalle forze regionali che lo rappresentano e che devono altresì esprimere una classe dirigente autonoma, capace d’idee, progetti, realizzazioni, contatti: altrimenti a che vale l’autonomia se non a essere un’immensa fonte di spesa e a non risolvere i problemi del proprio territorio e della popolazione? Le responsabilità del governo e del Parlamento sono molte e le regioni sembrano aumentarne il peso e la quantità. Le debolezze del potere centrale sono molte, come si è dimostrato, ad esempio, con la non eliminazione delle province, dando prova che non si è avuto la coerenza e la forza di dare seguito alla loro oggettiva e costosa inutilità. Ma se sono inutili, le province ci si chiede cosa facciano di effettivo le regioni, soprattutto nella sanità, dalla cui nascita datano l’avvio e la crescita irriducibile del drammatico disavanzo della spesa pubblica da esse comunque fortemente determinata.
Pur comprendendo le vicende, drammatiche sul piano umano dei lavoratori sardi non riteniamo sia accettabile il metodo violento, eccessivo, sostanzialmente inutile con cui si sono espressi, guidati da sindacalisti che forse vogliono far dimenticare inerzie del passato. Esse però ci fanno riflettere sul problema della classe dirigente a qualunque livello, di regione, parlamento e governo e non solo nella politica, ma nell’industria, nelle professioni, nella cultura e nella scuola oltre che nell’alta e media burocrazia e così via dicendo. La protesta dei minatori o dei pastori sardi è certo legittima e motivata ma insufficiente senza una dirigenza attenta e di livello e che come tante altre rischia di essere destinate all’estemporaneità e alla dimenticanza.
Bisogna sì protestare, ma efficacemente, con il voto, con l’azione politica continua, con la proposta, con l’impegno, per essere, anziché deboli voci inascoltate, una vera alternativa, capace di produrre classe dirigente, proposte e soluzioni e non solo di guidare, direttamente o indirettamente, manifestazioni di protesta. Ciò ci pare che valga non solo per la Sardegna, ma per tutte le regioni italiane.