Questione di stile

Il 2012 si è concluso con il discorso del Presidente della Repubblica, l’ultimo del suo settennale mandato. Quando fu eletto, fui critico: non mi piaceva un ex comunista come capo dello Stato, e lo scrissi. Ora a quasi chiusura della sua presidenza sento il dovere di dichiarare un parere diverso.
È stato un buon Presidente, divenendo sempre più il presidente di tutti, nonostante la diversità delle sue e le mie origini politiche, perché ha sempre dimostrato profondo rispetto istituzionale, vigilanza politica anche nelle difficoltà di rapporti con il Governo, attenzione sociale, rispetto e tutela delle prerogative costituzionali. Naturalmente alcune fonti politiche da Di Pietro a Grillo lo contestano, ma di questi critici, basta la parola, come per il confetto Falqui.
Quello che cambia è che il giudizio generale e finale sia positivo e la sensazione sia di fiducia, di garanzia, di alta guida politica. Napolitano ha dimostrato, di saper gestire con onore il proprio ruolo, nonostante i timori per le sue origini politiche.
Un processo inverso è avvenuto per altri, dimostrando che le origini non bastano, ma che contano i fatti, le promesse non mantenute, l’arroganza del potere, le squadre prevedibilmente sbagliate, i comportamenti inaccettabili.
Per nessun uomo politico si può dire che ha fatto tutto giusto o sbagliato. Anche quello giudicato peggio ha certo fatto cose positive e viceversa. Quando si tirano i conti, i bilanci, ci sono le azioni, le omissioni, gli errori, colpi di fortuna e di sfortuna, il ruolo degli avversari e, spesso più pericoloso, quello degli amici e dei sostenitori.
La conta è complessa, le variabili molte, resta però un giudizio di sintesi, tendente a diventare storico, che chiude le avventure politiche e personali.
Con il saluto agli italiani, il Presidente della Repubblica ha espresso serenità, consapevolezza, severità nei giudizi, ma non sulle persone, fiduciosa attesa per il futuro del Paese.
Un addio pieno di decoro e di stile, confacente al ruolo e all’età.
Vorremmo, almeno come fatto di stile, analoghi comportamenti. Il grande naturalista francese Georges Louis Leclerc de Buffon scrisse, quasi tre secoli fa’, “Le style est l’homme”.
Vorremmo tanto che fosse vero: che le personalità politiche, giunte a una certa età, si ritirassero in ruoli più saggi, non operativi, non polemici, non carenti di stile. Sembra che ci sia una sorta di dibattito su quale sia l’età del ritiro. La Chiesa l’ha stabilito in 75 anni, ma i ruoli sono diversi. In politica il ritiro è collegato al ruolo e alla situazione, alla consapevolezza delle possibilità psicofisiche e anche politiche, della permanenza o meno in un contesto politico vastamente favorevole, alle benemerenze reali conquistate.
Ci occupiamo della dirigenza che dovrebbe uscire da sola, con dignità, occupando onorariamente ruoli più defilati, non facendo venir meno la preziosità dell’esperienza, della cultura, del consiglio. È il discorso dello stile.
Lord Brummel, considerato l’uomo più elegante del suo tempo, sosteneva che la vera eleganza stava nella normalità, non sull’eccentricità. Qualcuno gli disse “Come siete elegante” e Brummel rispose “Mi si vede forse qualcosa?” Ma più idonea al nostro discorso è la sua affermazione “restare nella società per il tempo necessario per produrre un effetto, quando l’effetto si è prodotto, andatevene”. Non guardiamo all’eleganza degli abiti, ma a quella dei comportamenti, anche in politica il discorso dell’eleganza e dello stile. Se pensiamo a parte della nostra classe politica, chissà perché, ci vengono in mente le scope di Maroni, le rottamazioni di Renzi, le ingiuriose e affermazioni di Grillo, le corti berlusconiane in attesa di udienza e altro ancora. Ma anche i comportamenti di Veltroni, D’Alema e molti altri meno noti in ogni schieramento. Già, “Le style est l’homme”.
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2 Responses to "Questione di stile"

  • Gianni Porzi says:
  • Claudio Maffei says:
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